L’interesse per i legami tra diritto canonico e diritto inglese nasce dalla constatazione dell’ingiustificato oblio in cui per lungo tempo sono caduti gli studi sui rapporti intercorsi tra Stato e Chiesa cattolica in Inghilterra prima della riforma anglicana. La causa della disaffezione verso tale settore del diritto ecclesiastico comparato è, forse, imputabile alla drastica cesura causata dallo scisma anglicano, tale da far dimenticare che fino al 1534 la Chiesa d’Inghilterra faceva parte integrante dell’Orbe cattolico, con relazioni e conseguenti scambi culturali e giuridici. A ciò si è aggiunto il ben noto orgoglio inglese che ha preteso di tracciare una netta linea di demarcazione, non solo geografica, tra le isole britanniche e il continente europeo, rifiutando aprioristicamente di riconoscere il contributo di un diritto confessionale diverso da quello della Chiesa di Stato (estabilished) alla formazione del sistema giuridico anglosassone e influenzando, di riflesso, la dottrina comparatistica italiana che si è sostanzialmente uniformata alle conclusioni degli studiosi inglesi. Per la verità negli ultimi anni si è assistito ad un rinnovato interesse per gli studi sulle reciproche interferenze tra lo ius commune, inteso come compendio del diritto romano-canonico, e il diritto inglese in epoca medievale. Tali studi hanno dimostrato una maggiore apertura e disponibilità ad ammettere l’innegabile contributo fornito dal diritto comune alla formazione non solo di singoli istituti caratterizzanti l’odierno diritto anglosassone, ma del complessivo sistema giuridico britannico. Tuttavia anche le nuove riflessioni dottrinali presentano la peculiarità di essere state formulate da storici del diritto e quindi con una metodologia comparativa per così dire statica e temporalmente localizzata conseguentemente restringendo il campo d’indagine al solo influsso esistente tra il diritto comune, specie canonico, e il sistema di giustizia equitativo in Inghilterra nei vari periodi storici presi, di volta in volta, in considerazione. Viceversa è sembrato interessante approfondire, nella prospettiva ecclesiasticista, il rapporto tra diritto canonico e common law, così da evidenziare la sorprendente specularità esistente tra gli sviluppi del diritto canonico continentale, specie in materia di aequitas, e i coevi mutamenti in seno all’ordinamento giuridico inglese. Lo scopo del presente studio è quello di cercare di fornire una diversa chiave di lettura di alcuni sviluppi del diritto anglosassone, guardando gli eventi storico-giuridici inglesi con gli “occhiali” del canonista. Il lettore noterà che alcune delle conclusioni contenute nel presente studio si basano solo in parte su prove certe e molto di più su deduzioni logiche, che però sono condotte prendendo spunto da precisi fatti storici. Siffatta integrazione è resa necessaria dalla mancanza allo stato di una quantità adeguata di materiale disponibile, causata soprattutto dalla circostanza che gli archivi delle Corti ecclesiastiche medievali inglesi sono giunti ai nostri giorni incompleti e frammentari. Il presente lavoro intende, comunque, sollecitare una maggiore attenzione verso un settore del diritto canonico ed ecclesiastico comparato che poco esplorato dalla dottrina italiana e che è sembrato potere fornire tracce illuminanti sull’evolversi di alcuni istituti e quindi condurre ad una più completa comprensione del loro significato attuale. La ricerca è anche giustificata dal ruolo assunto in tempi molto recenti nell’ambito della legislazione italiana da istituti tratti dal common law a motivo del tentativo, tuttora in corso, di creare un diritto comune europeo (c.d. UNIDROIT). L’armonizzazione del diritto europeo, come è noto, ha incontrato molti limiti e diffidenze dovuti in gran parte all’asserita differenza ontologica esistente tra diritto di tradizione romanistica e common law. La presente analisi cercherà di dimostrare che la pretesa incomunicabilità tra questi due sistemi giuridici nasce da una malintesa originalità assoluta del diritto anglosassone, quasi che questo fosse scaturito improvvisamente dalla mente di Giunone. In realtà se è vero che “natura non facit saltus”, è altrettanto vero che nessun ordinamento giuridico europeo medievale può dirsi assolutamente avulso dal contesto storico-culturale in cui è sorto e si è sviluppato. E ciò vale vieppiù per il diritto inglese che, come cercheremo di dimostrare, ha fortemente risentito dell’influenza del diritto canonico specie per ciò che attiene ai presupposti ideologico-culturali. Quindi, è proprio guardando alla comune matrice canonistica di molti istituti che è possibile pensare ad un nuovo ius commune europeo, dirimendo molti dei conflitti concettuali ancora in corso. Al di là delle conseguenze di più ampio respiro che l’approfondimento del tema potrebbe portare, riteniamo che anche sul piano del diritto positivo il diritto ecclesiastico italiano possa giovarsi dell’analisi dei rapporti storici tra diritto canonico e diritto inglese, specie adesso che nel tentativo di armonizzare le legislazioni interne europee si è prevista con la legge 364/1989 la possibilità di riconoscere l’operatività del trust nel nostro ordinamento giuridico. Si tratta di un istituto del diritto inglese - assai simile (specie nella forma di charitable trust) sotto il profilo funzionale ad una fondazione fiduciaria - che, nonostante la pretesa originalità britannica, più di altri risente dell’influsso canonistico, trovando la sua radice ultima nella tutela delle promesse nude prevista dal diritto canonico ed attuata in Inghilterra dalle Corti ecclesiastiche e, successivamente, dalla Cancelleria regia. L’introduzione del trust nel diritto italiano e la verifica della sua ammissibilità, permette, a nostro avviso, di riconoscere agli effetti civili piena operatività giuridica ad un istituto tipico del diritto canonico quali le fondazioni fiduciarie di culto, rimaste fuori dalle previsioni concordatarie e non riconoscibili fino ad oggi neppure quali enti di diritto comune a motivo della mancanza nel codice civile italiano della figura delle fondazioni di fatto.

Ferrante, M.G. (2008). L’apporto del diritto canonico nella disciplina delle pie volontà fiduciarie testamentarie del diritto inglese. Milano : Giuffrè.

L’apporto del diritto canonico nella disciplina delle pie volontà fiduciarie testamentarie del diritto inglese

FERRANTE, Mario Giuseppe
2008-01-01

Abstract

L’interesse per i legami tra diritto canonico e diritto inglese nasce dalla constatazione dell’ingiustificato oblio in cui per lungo tempo sono caduti gli studi sui rapporti intercorsi tra Stato e Chiesa cattolica in Inghilterra prima della riforma anglicana. La causa della disaffezione verso tale settore del diritto ecclesiastico comparato è, forse, imputabile alla drastica cesura causata dallo scisma anglicano, tale da far dimenticare che fino al 1534 la Chiesa d’Inghilterra faceva parte integrante dell’Orbe cattolico, con relazioni e conseguenti scambi culturali e giuridici. A ciò si è aggiunto il ben noto orgoglio inglese che ha preteso di tracciare una netta linea di demarcazione, non solo geografica, tra le isole britanniche e il continente europeo, rifiutando aprioristicamente di riconoscere il contributo di un diritto confessionale diverso da quello della Chiesa di Stato (estabilished) alla formazione del sistema giuridico anglosassone e influenzando, di riflesso, la dottrina comparatistica italiana che si è sostanzialmente uniformata alle conclusioni degli studiosi inglesi. Per la verità negli ultimi anni si è assistito ad un rinnovato interesse per gli studi sulle reciproche interferenze tra lo ius commune, inteso come compendio del diritto romano-canonico, e il diritto inglese in epoca medievale. Tali studi hanno dimostrato una maggiore apertura e disponibilità ad ammettere l’innegabile contributo fornito dal diritto comune alla formazione non solo di singoli istituti caratterizzanti l’odierno diritto anglosassone, ma del complessivo sistema giuridico britannico. Tuttavia anche le nuove riflessioni dottrinali presentano la peculiarità di essere state formulate da storici del diritto e quindi con una metodologia comparativa per così dire statica e temporalmente localizzata conseguentemente restringendo il campo d’indagine al solo influsso esistente tra il diritto comune, specie canonico, e il sistema di giustizia equitativo in Inghilterra nei vari periodi storici presi, di volta in volta, in considerazione. Viceversa è sembrato interessante approfondire, nella prospettiva ecclesiasticista, il rapporto tra diritto canonico e common law, così da evidenziare la sorprendente specularità esistente tra gli sviluppi del diritto canonico continentale, specie in materia di aequitas, e i coevi mutamenti in seno all’ordinamento giuridico inglese. Lo scopo del presente studio è quello di cercare di fornire una diversa chiave di lettura di alcuni sviluppi del diritto anglosassone, guardando gli eventi storico-giuridici inglesi con gli “occhiali” del canonista. Il lettore noterà che alcune delle conclusioni contenute nel presente studio si basano solo in parte su prove certe e molto di più su deduzioni logiche, che però sono condotte prendendo spunto da precisi fatti storici. Siffatta integrazione è resa necessaria dalla mancanza allo stato di una quantità adeguata di materiale disponibile, causata soprattutto dalla circostanza che gli archivi delle Corti ecclesiastiche medievali inglesi sono giunti ai nostri giorni incompleti e frammentari. Il presente lavoro intende, comunque, sollecitare una maggiore attenzione verso un settore del diritto canonico ed ecclesiastico comparato che poco esplorato dalla dottrina italiana e che è sembrato potere fornire tracce illuminanti sull’evolversi di alcuni istituti e quindi condurre ad una più completa comprensione del loro significato attuale. La ricerca è anche giustificata dal ruolo assunto in tempi molto recenti nell’ambito della legislazione italiana da istituti tratti dal common law a motivo del tentativo, tuttora in corso, di creare un diritto comune europeo (c.d. UNIDROIT). L’armonizzazione del diritto europeo, come è noto, ha incontrato molti limiti e diffidenze dovuti in gran parte all’asserita differenza ontologica esistente tra diritto di tradizione romanistica e common law. La presente analisi cercherà di dimostrare che la pretesa incomunicabilità tra questi due sistemi giuridici nasce da una malintesa originalità assoluta del diritto anglosassone, quasi che questo fosse scaturito improvvisamente dalla mente di Giunone. In realtà se è vero che “natura non facit saltus”, è altrettanto vero che nessun ordinamento giuridico europeo medievale può dirsi assolutamente avulso dal contesto storico-culturale in cui è sorto e si è sviluppato. E ciò vale vieppiù per il diritto inglese che, come cercheremo di dimostrare, ha fortemente risentito dell’influenza del diritto canonico specie per ciò che attiene ai presupposti ideologico-culturali. Quindi, è proprio guardando alla comune matrice canonistica di molti istituti che è possibile pensare ad un nuovo ius commune europeo, dirimendo molti dei conflitti concettuali ancora in corso. Al di là delle conseguenze di più ampio respiro che l’approfondimento del tema potrebbe portare, riteniamo che anche sul piano del diritto positivo il diritto ecclesiastico italiano possa giovarsi dell’analisi dei rapporti storici tra diritto canonico e diritto inglese, specie adesso che nel tentativo di armonizzare le legislazioni interne europee si è prevista con la legge 364/1989 la possibilità di riconoscere l’operatività del trust nel nostro ordinamento giuridico. Si tratta di un istituto del diritto inglese - assai simile (specie nella forma di charitable trust) sotto il profilo funzionale ad una fondazione fiduciaria - che, nonostante la pretesa originalità britannica, più di altri risente dell’influsso canonistico, trovando la sua radice ultima nella tutela delle promesse nude prevista dal diritto canonico ed attuata in Inghilterra dalle Corti ecclesiastiche e, successivamente, dalla Cancelleria regia. L’introduzione del trust nel diritto italiano e la verifica della sua ammissibilità, permette, a nostro avviso, di riconoscere agli effetti civili piena operatività giuridica ad un istituto tipico del diritto canonico quali le fondazioni fiduciarie di culto, rimaste fuori dalle previsioni concordatarie e non riconoscibili fino ad oggi neppure quali enti di diritto comune a motivo della mancanza nel codice civile italiano della figura delle fondazioni di fatto.
2008
88-14-14205-X
Ferrante, M.G. (2008). L’apporto del diritto canonico nella disciplina delle pie volontà fiduciarie testamentarie del diritto inglese. Milano : Giuffrè.
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