Il recupero filologico di una rara silloge latina di centodieci favole in forma di lezioni, scritta e pubblicata da Pompeo Sarnelli (1649–1724), segretario di un cardinale poi eletto papa (Benedetto XIII), protonotario apostolico e infine vescovo; erudito e antiquario, grammatico e storico, sotto un titolo ispirato ai crudeli riti circensi di cui scrive Tertulliano (Bestiarum schola), piuttosto che alla favoleggiata esemplarità zooetica del mondo esopiano, ripropone alla riflessione del nostro tempo un vademecum di educazione religiosa, ma anche un manualetto di cultura politica, specchio di una società che la riforma cattolica e l’egemonia culturale dei gesuiti stentano a controllare. Ne emerge, inquietante, l’identità di un abate immerso nel tempo lungo della Rinascenza nel Mezzogiorno d’Italia, intellettualmente incline ad una voracità libraria che lo spinge lungo i confini ambigui e sfrangiati della cultura ecclesiastica e politica del tardo Seicento fino ai limiti dell’ortodossia, convinto di poter comporre nell’ingenuità apparente di un’allegoria zoomorfa e nell’ironia amabilmente icastica del racconto breve le lacerazioni del suo tempo: quelle del sapere, quelle del Potere, quelle dell’umanità peccatrice.
IURILLI A (2008). Pompeo Sarnelli, Scuola di bestie (Bestiarum schola), a cura di Antonio Iurilli. BARI : Cacucci.
Pompeo Sarnelli, Scuola di bestie (Bestiarum schola), a cura di Antonio Iurilli
IURILLI, Antonio
2008-01-01
Abstract
Il recupero filologico di una rara silloge latina di centodieci favole in forma di lezioni, scritta e pubblicata da Pompeo Sarnelli (1649–1724), segretario di un cardinale poi eletto papa (Benedetto XIII), protonotario apostolico e infine vescovo; erudito e antiquario, grammatico e storico, sotto un titolo ispirato ai crudeli riti circensi di cui scrive Tertulliano (Bestiarum schola), piuttosto che alla favoleggiata esemplarità zooetica del mondo esopiano, ripropone alla riflessione del nostro tempo un vademecum di educazione religiosa, ma anche un manualetto di cultura politica, specchio di una società che la riforma cattolica e l’egemonia culturale dei gesuiti stentano a controllare. Ne emerge, inquietante, l’identità di un abate immerso nel tempo lungo della Rinascenza nel Mezzogiorno d’Italia, intellettualmente incline ad una voracità libraria che lo spinge lungo i confini ambigui e sfrangiati della cultura ecclesiastica e politica del tardo Seicento fino ai limiti dell’ortodossia, convinto di poter comporre nell’ingenuità apparente di un’allegoria zoomorfa e nell’ironia amabilmente icastica del racconto breve le lacerazioni del suo tempo: quelle del sapere, quelle del Potere, quelle dell’umanità peccatrice.File | Dimensione | Formato | |
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