La permanenza di Riemann a Pisa, i suoi rapporti diretti con Enrico Betti e, indiretti, con Beltrami, Casorati e Cremona portarono mutamenti profondi in tutti i campi della matematica (e della filosofia della matematica) italiane. Nel mio intervento focalizzerò l’attenzione su alcuni punti, soprattutto riguardo la geometria algebrica italiana e i suoi rapporti con l’analisi complessa nei primi trenta anni del XX secolo, nonché il formarsi di un modo “italiano” di guardare alla geometria. Un esame accurato dello sviluppo storico della geometria italiana non può prescindere dall’esame degli apporti determinanti dati dalle scuole tedesca e francese allo sviluppo dell’interpretazione geometrica della teoria delle funzioni di variabile complessa di Riemann: Clebsch, Nöther e Klein da un lato, Poincaré, Humbert e Picard dall’altro fecero nascere in modo dialettico una serie di punti vista nuovi con i quali i matematici italiani interagirono in modo creativo dando vita ad un modo originale di fondere una profonda visione geometrica con una grande perizia analitica. Un punto di partenza opportuno può essere quello costituito dall’intervento di Corrado Segre al congresso internazionale di Heidelberg del 1904, attraverso il quale egli mise in chiaro i mutui legami tra l’analisi e la geometria, mostrando un’ampia visione di insieme in qualche modo capace di prefigurare alcune tendenze della matematica del novecento allora appena sul nascere. In particolare Segre svilupperà le sue idee nel senso, già delineato alcuni anni prima, di un continuo allargamento dell’idea di proiettività negli spazi complessi e iperccomplessi, secondo un indirizzo che troverà sviluppi notevoli fuori dall’Italia soprattutto nell’opera di Cartan (con apporti significativi di Fubini); Castelnuovo, Enriques e Severi svilupperanno soprattutto la teoria delle superfici e delle varietà, partendo e sviluppando le idee di Klein sui legami tra teoria dei gruppi: non a caso Hawkins parla dei geometri italiani come di coloro che realmente svilupparono il programma di Erlangen prima dell’intervento decisivo di Poincaré e Cartan. Tenuto conto dei profondi legami tra Zariski e Castelnuovo ed Enriques (giustamente considerati i suoi maestri) si impone un’indagine sui motivi (in parte interni alla matematica, ma in parte anche di tipo sociale) per i quali la geometria algebrica italiana perse rapidamente i contatti con gli sviluppi – per certi versi grandiosi – che la disciplina andava prendendo attraverso la piena assimilazione delle idee nate nella scuola hilbertiana di Gottinga: Van der Waerden, Weil, Artin, Lefschetz, Zariski, … In conclusione esaminerò il ruolo giocato dalla intuizione geometrica nello sviluppo delle idee della scuola italiana. Anche se naturalmente tale ruolo non può certamente essere sottovalutato cercherò di mostrare come si trattasse di un’intuizione che non si generava in modo spontaneo dallo sviluppo delle facoltà puramente “visive” dei geometri italiani, ma fosse faticosamente conquistata attraverso uno studio attento di tipo analitico. Nella felice frase di Enriques sulle “riposte armonie” molta attenzione va data a quel “riposte”. Le armonie della geometria algebrica che dettero luogo a quella straordinaria forma di intuizione per la quale i geometri italiani sono giustamente famosi furono scoperte soltanto attraverso un duro apprendistato iniziato negli anni 60 del XIX secolo, un duro apprendistato che portò alla fine a svelare i “misteri riemanniani” di cui parlava Cremona e alla fine a rendere intuitivi ed evidenti per un piccolo gruppo di “iniziati” tutta una serie di “fatti” geometrici astratti che avranno bisogno di tecniche algebriche ed analitiche sofisticate per poter essere alla fine realmente compresi in tutta la loro portata.
Brigaglia, A. (2009). I matematici italiani e i "misteri riemanniani". La geometria italiana della prima metà del XX secolo tra intuizione e rigore.
I matematici italiani e i "misteri riemanniani". La geometria italiana della prima metà del XX secolo tra intuizione e rigore
BRIGAGLIA, Aldo
2009-01-01
Abstract
La permanenza di Riemann a Pisa, i suoi rapporti diretti con Enrico Betti e, indiretti, con Beltrami, Casorati e Cremona portarono mutamenti profondi in tutti i campi della matematica (e della filosofia della matematica) italiane. Nel mio intervento focalizzerò l’attenzione su alcuni punti, soprattutto riguardo la geometria algebrica italiana e i suoi rapporti con l’analisi complessa nei primi trenta anni del XX secolo, nonché il formarsi di un modo “italiano” di guardare alla geometria. Un esame accurato dello sviluppo storico della geometria italiana non può prescindere dall’esame degli apporti determinanti dati dalle scuole tedesca e francese allo sviluppo dell’interpretazione geometrica della teoria delle funzioni di variabile complessa di Riemann: Clebsch, Nöther e Klein da un lato, Poincaré, Humbert e Picard dall’altro fecero nascere in modo dialettico una serie di punti vista nuovi con i quali i matematici italiani interagirono in modo creativo dando vita ad un modo originale di fondere una profonda visione geometrica con una grande perizia analitica. Un punto di partenza opportuno può essere quello costituito dall’intervento di Corrado Segre al congresso internazionale di Heidelberg del 1904, attraverso il quale egli mise in chiaro i mutui legami tra l’analisi e la geometria, mostrando un’ampia visione di insieme in qualche modo capace di prefigurare alcune tendenze della matematica del novecento allora appena sul nascere. In particolare Segre svilupperà le sue idee nel senso, già delineato alcuni anni prima, di un continuo allargamento dell’idea di proiettività negli spazi complessi e iperccomplessi, secondo un indirizzo che troverà sviluppi notevoli fuori dall’Italia soprattutto nell’opera di Cartan (con apporti significativi di Fubini); Castelnuovo, Enriques e Severi svilupperanno soprattutto la teoria delle superfici e delle varietà, partendo e sviluppando le idee di Klein sui legami tra teoria dei gruppi: non a caso Hawkins parla dei geometri italiani come di coloro che realmente svilupparono il programma di Erlangen prima dell’intervento decisivo di Poincaré e Cartan. Tenuto conto dei profondi legami tra Zariski e Castelnuovo ed Enriques (giustamente considerati i suoi maestri) si impone un’indagine sui motivi (in parte interni alla matematica, ma in parte anche di tipo sociale) per i quali la geometria algebrica italiana perse rapidamente i contatti con gli sviluppi – per certi versi grandiosi – che la disciplina andava prendendo attraverso la piena assimilazione delle idee nate nella scuola hilbertiana di Gottinga: Van der Waerden, Weil, Artin, Lefschetz, Zariski, … In conclusione esaminerò il ruolo giocato dalla intuizione geometrica nello sviluppo delle idee della scuola italiana. Anche se naturalmente tale ruolo non può certamente essere sottovalutato cercherò di mostrare come si trattasse di un’intuizione che non si generava in modo spontaneo dallo sviluppo delle facoltà puramente “visive” dei geometri italiani, ma fosse faticosamente conquistata attraverso uno studio attento di tipo analitico. Nella felice frase di Enriques sulle “riposte armonie” molta attenzione va data a quel “riposte”. Le armonie della geometria algebrica che dettero luogo a quella straordinaria forma di intuizione per la quale i geometri italiani sono giustamente famosi furono scoperte soltanto attraverso un duro apprendistato iniziato negli anni 60 del XIX secolo, un duro apprendistato che portò alla fine a svelare i “misteri riemanniani” di cui parlava Cremona e alla fine a rendere intuitivi ed evidenti per un piccolo gruppo di “iniziati” tutta una serie di “fatti” geometrici astratti che avranno bisogno di tecniche algebriche ed analitiche sofisticate per poter essere alla fine realmente compresi in tutta la loro portata.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.