La decima fatica di Eracle, quale si presenta nel racconto di Diodoro, si può definire l’emblema, la fotografia di quella fitta trama di relazioni che ha caratterizzato il Mediterraneo antico. Sulla tradizione relativa alla decima fatica di Eracle e sulle sue stratificazioni e differenti livelli cronologici si incentra la ricerca. La lotta di Eracle contro Gerione e il suo viaggio verso l’estremo Occidente sono stati variamente interpretati dalla moderna letteratura, che comunque concorda nel collegare la nascita dei racconti sulle fatiche occidentali di Eracle con il fenomeno della colonizzazione arcaica. Un Occidente quello in cui opera Eracle, che non si presenta come un concetto statico, ma eschatia di un universo in espansione, frutto di quel big bang che fu determinato dalla curiositas dei Greci e di un gran numero di genti levantine che al’Occidente hanno guardato con occhio interessato. Il primo livello nella stratificazione del mito di Eracle è rappresentato da Esiodo, che per primo ricorda l’athlos di Eracle contro Gerione, localizzandolo al di là dell’illustre Oceano. Niente, però, nella Teogonia, fa pensare con assoluta certezza ad una localizzazione iberica. Momento cruciale nell’elaborazione di Eracle quale eroe culturale è rappresentato dal VII secolo. Particolarmente rilevante nell’evoluzione della figura di Eracle il ruolo di Rodi. Proprio Pisandro di Camiro sembra avere elaborato la prima rappresentazione dell’eroe con i suoi attributi specifici (arco, clava, leonté) in opposizione ad Omero e Esiodo che lo presentavano nella veste di eroe aristocratico; innovazione da taluni attribuita a Stesicoro, ma sicuramente anteriore al poeta di Imera, come attestato da taluni documenti figurati. Una nuova immagine che avrebbe trovato, però, la sua piena canonizzazione, tra la fine del VII e la metà del VI secolo, nell’opera di Stesicoro, dove l’eroe era rappresentato come un ladrone. Proprio questo particolare, a prima vista sconcertante, è indizio chiaro della trasformazione di Eracle nell’archetipo dell’eroe culturale, un personaggio cioè che, attraverso uno o più atti di trasgressione della norma, svolge il suo ruolo di mediatore tra natura e cultura, Solo comportandosi da anti-oplita e regredendo ad una violenza fondatrice, al di là delle tecniche e della vita civilizzata della polis, può civilizzare l’ecumene. A rendere ragione della trasformazione di Eracle in eroe culturale, in «omicida giustissimo» è la particolare temperie politica che caratterizza la realtà mediterranea in genere e il dialogo Est-Ovest. Proprio negli anni in cui si consuma il floruit di Pisandro, all’incirca alla metà del VII secolo, l’Occidente mediterraneo assiste ad una vigorosa ripresa del fenomeno coloniale (Selinunte, Himera, Acre, Casmene). A complicare ulteriormente il quadro e a rendere ragione dei movimenti che coinvolgono l’intero bacino del Mediterraneo intervengono le trasformazioni in atto nel tessuto sociale delle città greche d’Asia, che non possono essere disgiunte dalla realtà politica ed economica dell’entroterra anatolico: l’invasione dei Cimmeri, la forza di pressione lidia che rende tributarie le città della costa. Quanti non sopportano la dominazione lidia abbandonano le loro cità e vano a fondare nuove apoikiai. In una realtà così complessa, in cui la Grecità tutta subisce attacchi di varia natura si giustifica la trasformazione di Eracle nell’eroe culturale, un eroe capace di fare trionfare dapperttutto il nomos greco sull’anomia, sia creando le premesse per la fondazione di nuove apoikiai sia solo attraverso l’emporia. Che Pisandro, dall’osservatorio di Rodi, legata culturalmente e geograficamente all’area microasiatica ma, nello stesso tempo, proiettata verso Occidente, abbia saputo cogliere tra i primi le potenzialità sottese alla figura mitica di Eracle, è ipotesi che sembra trovare conforto in alcune rappresentazioni figurate. L’innovazione di Pisandro viene perfezionata da Stesicoro, che non solo rappresenta Eracle come un brigante solitario, munito di clava leonté e arco, ma offre un contesto geografico ben definito dell’impresa contro Gerione, di fronte «alle inesauribili sorgenti del fiume Tartesso». Tartesso nel testo stesicoreo non è una città, ma un fiume, legato all’estrazione dell’argento, quasi che per i Greci, che frequentavano la regione e che erano interessati al traffico del metallo prezioso, l’emporion dove scambiavano le merci si identificasse con il corso d’acqua attraverso cui giungeva la materia prima. Un elemento importante, che permette di cogliere fin dalle fasi più arcaiche la particolarità della presenza greca in Iberia: nell’ottica greca la penisola iberica rimarrà sempre area di scambi commerciali, non di diffusione coloniale. Solo quando l’Occidente si fa un po’ più lontano per i Greci, anche se non ancora una terra invalicabile, si inserisce il terzo livello nella stratificazione dei miti dei nostoi nell’Iberia. Che questo terzo livello possa essere rappresentato da Timeo, è possibile. Il Tauromenita che vive il momento iniziale della prima guerra romano-cartaginese e certamente in un momento in cui la Sicilia occidentale è già divenuta epikrateia punica, può aver sentito il bisogno di consolidare, almeno proiettandola nel momento del mito, la traballante presenza greca in Occidente. Allo storico di Tauromenio è quasi certamente debitore Diodoro, il cui racconto testimonia anche la profonda stratificazione subita dal mito di Eracle. Nel racconto dell’Agirinense evidente è anche l’intento razionalizzante e storicizzante. Ciò che interessa allo storico di Agirio sono le avventure occidentali del figlio di Alcmena, tanto da trasformare in un vero e proprio periplo del Mediterraneo occidentale le ultime due fatiche di Eracle.

ANELLO, P. (2008). Eracle eroe culturale tra Iberia e Sikelia. In Relaciones interculturales en el Mediterràneo antiguo: Sicilia e Iberia (pp.9-42). MALAGA : CEDMA.

Eracle eroe culturale tra Iberia e Sikelia

ANELLO, Pietrina
2008-01-01

Abstract

La decima fatica di Eracle, quale si presenta nel racconto di Diodoro, si può definire l’emblema, la fotografia di quella fitta trama di relazioni che ha caratterizzato il Mediterraneo antico. Sulla tradizione relativa alla decima fatica di Eracle e sulle sue stratificazioni e differenti livelli cronologici si incentra la ricerca. La lotta di Eracle contro Gerione e il suo viaggio verso l’estremo Occidente sono stati variamente interpretati dalla moderna letteratura, che comunque concorda nel collegare la nascita dei racconti sulle fatiche occidentali di Eracle con il fenomeno della colonizzazione arcaica. Un Occidente quello in cui opera Eracle, che non si presenta come un concetto statico, ma eschatia di un universo in espansione, frutto di quel big bang che fu determinato dalla curiositas dei Greci e di un gran numero di genti levantine che al’Occidente hanno guardato con occhio interessato. Il primo livello nella stratificazione del mito di Eracle è rappresentato da Esiodo, che per primo ricorda l’athlos di Eracle contro Gerione, localizzandolo al di là dell’illustre Oceano. Niente, però, nella Teogonia, fa pensare con assoluta certezza ad una localizzazione iberica. Momento cruciale nell’elaborazione di Eracle quale eroe culturale è rappresentato dal VII secolo. Particolarmente rilevante nell’evoluzione della figura di Eracle il ruolo di Rodi. Proprio Pisandro di Camiro sembra avere elaborato la prima rappresentazione dell’eroe con i suoi attributi specifici (arco, clava, leonté) in opposizione ad Omero e Esiodo che lo presentavano nella veste di eroe aristocratico; innovazione da taluni attribuita a Stesicoro, ma sicuramente anteriore al poeta di Imera, come attestato da taluni documenti figurati. Una nuova immagine che avrebbe trovato, però, la sua piena canonizzazione, tra la fine del VII e la metà del VI secolo, nell’opera di Stesicoro, dove l’eroe era rappresentato come un ladrone. Proprio questo particolare, a prima vista sconcertante, è indizio chiaro della trasformazione di Eracle nell’archetipo dell’eroe culturale, un personaggio cioè che, attraverso uno o più atti di trasgressione della norma, svolge il suo ruolo di mediatore tra natura e cultura, Solo comportandosi da anti-oplita e regredendo ad una violenza fondatrice, al di là delle tecniche e della vita civilizzata della polis, può civilizzare l’ecumene. A rendere ragione della trasformazione di Eracle in eroe culturale, in «omicida giustissimo» è la particolare temperie politica che caratterizza la realtà mediterranea in genere e il dialogo Est-Ovest. Proprio negli anni in cui si consuma il floruit di Pisandro, all’incirca alla metà del VII secolo, l’Occidente mediterraneo assiste ad una vigorosa ripresa del fenomeno coloniale (Selinunte, Himera, Acre, Casmene). A complicare ulteriormente il quadro e a rendere ragione dei movimenti che coinvolgono l’intero bacino del Mediterraneo intervengono le trasformazioni in atto nel tessuto sociale delle città greche d’Asia, che non possono essere disgiunte dalla realtà politica ed economica dell’entroterra anatolico: l’invasione dei Cimmeri, la forza di pressione lidia che rende tributarie le città della costa. Quanti non sopportano la dominazione lidia abbandonano le loro cità e vano a fondare nuove apoikiai. In una realtà così complessa, in cui la Grecità tutta subisce attacchi di varia natura si giustifica la trasformazione di Eracle nell’eroe culturale, un eroe capace di fare trionfare dapperttutto il nomos greco sull’anomia, sia creando le premesse per la fondazione di nuove apoikiai sia solo attraverso l’emporia. Che Pisandro, dall’osservatorio di Rodi, legata culturalmente e geograficamente all’area microasiatica ma, nello stesso tempo, proiettata verso Occidente, abbia saputo cogliere tra i primi le potenzialità sottese alla figura mitica di Eracle, è ipotesi che sembra trovare conforto in alcune rappresentazioni figurate. L’innovazione di Pisandro viene perfezionata da Stesicoro, che non solo rappresenta Eracle come un brigante solitario, munito di clava leonté e arco, ma offre un contesto geografico ben definito dell’impresa contro Gerione, di fronte «alle inesauribili sorgenti del fiume Tartesso». Tartesso nel testo stesicoreo non è una città, ma un fiume, legato all’estrazione dell’argento, quasi che per i Greci, che frequentavano la regione e che erano interessati al traffico del metallo prezioso, l’emporion dove scambiavano le merci si identificasse con il corso d’acqua attraverso cui giungeva la materia prima. Un elemento importante, che permette di cogliere fin dalle fasi più arcaiche la particolarità della presenza greca in Iberia: nell’ottica greca la penisola iberica rimarrà sempre area di scambi commerciali, non di diffusione coloniale. Solo quando l’Occidente si fa un po’ più lontano per i Greci, anche se non ancora una terra invalicabile, si inserisce il terzo livello nella stratificazione dei miti dei nostoi nell’Iberia. Che questo terzo livello possa essere rappresentato da Timeo, è possibile. Il Tauromenita che vive il momento iniziale della prima guerra romano-cartaginese e certamente in un momento in cui la Sicilia occidentale è già divenuta epikrateia punica, può aver sentito il bisogno di consolidare, almeno proiettandola nel momento del mito, la traballante presenza greca in Occidente. Allo storico di Tauromenio è quasi certamente debitore Diodoro, il cui racconto testimonia anche la profonda stratificazione subita dal mito di Eracle. Nel racconto dell’Agirinense evidente è anche l’intento razionalizzante e storicizzante. Ciò che interessa allo storico di Agirio sono le avventure occidentali del figlio di Alcmena, tanto da trasformare in un vero e proprio periplo del Mediterraneo occidentale le ultime due fatiche di Eracle.
15-giu-2006
Rapporti interculturali nel Mediterraneo antico: Sicilia e Iberia
Palermo
15-16 giugno 2006
2008
34
Azioni integrate Italia-Spagna
ANELLO, P. (2008). Eracle eroe culturale tra Iberia e Sikelia. In Relaciones interculturales en el Mediterràneo antiguo: Sicilia e Iberia (pp.9-42). MALAGA : CEDMA.
Proceedings (atti dei congressi)
ANELLO, P
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