È un principio sicuro del diritto romano classico che la possessio solo animo retenta di un immobile clandestinamente occupato non andava perduta fino a che il titolare non avesse per timore rinunciato al tentativo di rientro nel bene, ovvero, effettuandolo, non fosse stato respinto dall’occupante. D’altra parte, secondo quanto apprendiamo da un passo di Pomponio (D. 41.2.25.2, 23 ad Q. M.), che è il punto di partenza e il filo conduttore dell’ indagine, non è meno sicuro che tale soluzione si affermò in opposizione ad un’altra, più restrittiva, che anticipava la perdita del possesso già al verificarsi dell’invasione. Cercare di risalire alla genesi della quaestio, e illuminarne le ragioni di fondo, non meglio specificate da Pomponio che con un generico richiamo all’utilitas, è quanto l’autore si è proposto. Per la dottrina dominante ancora Labeone (D. 41.2.6.1, Ulp. 70 ad ed.) avrebbe aderito al secondo degli orientamenti sopra accennati, ritenuto comunemente il più antico. Ma una più accorta interpretazione del pensiero del giurista augusteo suggerisce una diversa prospettiva di ricerca, finora trascurata. Deiectus, nell’accezione tecnica del termine, era solo chi possedeva all’atto di subire la deiectio; e Labeone, reputando tale il revertens impedito di rimettere piede nel fondo (prohibitus, non admissus), non poteva per ciò stesso non riconoscergli la qualità di possessore pure dopo il sopravvenire di un’occupazione clandestina. Un attento esame dell’orazione pro Caecina, anzi, dimostra che la fattispecie del non admittere era stata equiparata a quella del deicere già ai tempi di Cicerone; e si potrebbe scendere fino a Quinto Mucio Scevola emendando l’espressione ‘quod quasi magis probatur’ di D. 41.2.25.2 in quella ‘quod <Quinto Mucio> probatur’. È almeno, pertanto, all’ultima età repubblicana che deve riportarsi la più larga soluzione approvata per ragioni di utilità da Pomponio. A sollecitarne l’emersione, con ogni probabilità, fu la mancanza di un interdictum de clandestina possessione, di cui una parte degli studiosi ha ritenuto di poter rinvenire le tracce in due soli testi (Cic. de lege agr. 3.3.11; D. 10.3.7.5, Ulp. 20 ad ed.), che non offrono invero niente più che un ingannevole appiglio. Ammessa la continuazione del possesso oltre l’occupazione il titolare non admissus avrebbe potuto considerarsi deiectus e come tale sarebbe stato attivamente legittimato agli interdetti de vi. Per questa via, la clandestinità veniva ricondotta entro il paradigma della vis, facendosi dell’occupazione clandestina il vestibolo della deiectio. La metamorfosi sarà completa nel diritto nuovo, quando Giustiniano giungerà a qualificare senz’altro come predoni gli occupanti della vacua possessio absentium (C. 8.4.11): possessori violenti, cioè, non più clandestini. Keywords: possessio; animus possidendi; deiectio e interdetti de vi; interdictum de clandestina possessione.
D'Angelo, G. (2007). "La perdita della possessio animo retenta nei casi di occupazione". Torino : G. Giappichelli.
"La perdita della possessio animo retenta nei casi di occupazione"
D'ANGELO, Giacomo
2007-01-01
Abstract
È un principio sicuro del diritto romano classico che la possessio solo animo retenta di un immobile clandestinamente occupato non andava perduta fino a che il titolare non avesse per timore rinunciato al tentativo di rientro nel bene, ovvero, effettuandolo, non fosse stato respinto dall’occupante. D’altra parte, secondo quanto apprendiamo da un passo di Pomponio (D. 41.2.25.2, 23 ad Q. M.), che è il punto di partenza e il filo conduttore dell’ indagine, non è meno sicuro che tale soluzione si affermò in opposizione ad un’altra, più restrittiva, che anticipava la perdita del possesso già al verificarsi dell’invasione. Cercare di risalire alla genesi della quaestio, e illuminarne le ragioni di fondo, non meglio specificate da Pomponio che con un generico richiamo all’utilitas, è quanto l’autore si è proposto. Per la dottrina dominante ancora Labeone (D. 41.2.6.1, Ulp. 70 ad ed.) avrebbe aderito al secondo degli orientamenti sopra accennati, ritenuto comunemente il più antico. Ma una più accorta interpretazione del pensiero del giurista augusteo suggerisce una diversa prospettiva di ricerca, finora trascurata. Deiectus, nell’accezione tecnica del termine, era solo chi possedeva all’atto di subire la deiectio; e Labeone, reputando tale il revertens impedito di rimettere piede nel fondo (prohibitus, non admissus), non poteva per ciò stesso non riconoscergli la qualità di possessore pure dopo il sopravvenire di un’occupazione clandestina. Un attento esame dell’orazione pro Caecina, anzi, dimostra che la fattispecie del non admittere era stata equiparata a quella del deicere già ai tempi di Cicerone; e si potrebbe scendere fino a Quinto Mucio Scevola emendando l’espressione ‘quod quasi magis probatur’ di D. 41.2.25.2 in quella ‘quodFile | Dimensione | Formato | |
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