Il lavoro, trae il suo spunto iniziale dall’intento di discutere interdisciplinariamente una problematica di notevole interesse, sia per i profili politico-sociali che tecnico-giuridici: l’esigenza di creare, all’interno dello stesso sistema processuale, riti differenziati in relazione alla repressione di differenti fattispecie criminose, analizzando, in particolare, il valore centrale assunto in tal senso dalla ‘prova’. A tal proposito il pensiero degli studiosi, non solo romanisti, corre immediatamente all’esperienza delle Quaestiones perpetuae, che rappresentano, forse, la massima espressione, storicamente realizzata, del principio della netta differenziazione dei riti processuali in relazione alle diverse fattispecie criminose. L’interesse nasce, però, non tanto da un punto di vista sostanziale, in riferimento a figure criminose quali il crimen repetundarum, crimen peculatus o crimen maiestatis ma soprattutto dal punto di vista processuale, in relazione ai caratteri tipologici ed alla struttura stessa del riti in questione, e soprattutto al ruolo ed alla caratterizzazione del tutto particolare e, a nostro parere, di estremo interesse, che la ‘prova’ riveste all’interno di tale sistema processuale. In relazione al dibattito odierno nessuno dubita, infatti, che la sfida si giochi proprio sul 'terreno probatorio', visto che, in relazione ad alcune fattispecie criminali particolari, le principali difficoltà si riscontrano proprio nell'applicazione dei normali canoni probatori sia in ‘sede di acquisizione’ delle prove, così come in sede di ‘valutazione del materiale probatorio’ raccolto (superamento dell' “ottica parcellizzante” relativa ai singoli episodi delittuosi, conseguimento di una visione di insieme che inquadri il fenomeno criminoso in maniera unitaria e complessiva). Al riguardo si è ritenuto che interessanti spunti di riflessione potessero derivare anche da una ricerca giuridica di carattere storico-comparativistico riguardante la ‘prova retorica’, cioè quel modello di prova vigente al tempo delle Quaestiones perpetuae. Non risponde al vero l'affermazione per cui la prova retorica non si fonderebbe su criteri logici e razionali. La retorica, almeno nella sistemazione aristotelica, ma già precedentemente, può essere considerata una disciplina di carattere scientifico. Risulta, inoltre, contradditorio che, da un canto, per ammissione degli stessi giuristi romani, si riconosce che il recepimento e la diffusione delle categorie della logica greca abbiano contribuito decisamente alla sistemazione scientifica del diritto (tanto che si discute a tal proposito addirittura di “rivoluzione scientifica"), mentre, dall’altro, nel settore processuale si pensa che la penetrazione delle stesse tecniche argomentative abbia ritardato il processo di razionalizzazione della prova e, quindi, del processo penale in genere. Inoltre gli aspetti essenziali che qualificano il modello probatorio retorico non sono tali da porre in dubbio la sua intrinseca 'razionalità', ma sottendono tutta una diversa visione del processo, intrisa di valori condivisibili e vicini più di quanto si immagini all'esperienza moderna. Tali elementi essenziali possono sinteticamente identificarsi e ravvisarsi: 1) nella natura 'antilogica' e 'dialogica' del processo di formazione ed assunzione della prova, articolata ed incentrata sulla dottrina degli status, ovvero dei "centri di argomentazione", in relazione ai quali i stabiliscono regole e criteri per la ricerca e valutazione dei vari mezzi di prova( rules of esclusions), e tramite la quale si realizza quella particolare ‘alchimia’ volta alla sussunzione del fatto nel principio di diritto; 2) nella convinzione che scopo del processo sia la ricerca del ' probabile' , nella sua valenza filosofico-scientifica, in connessione alla dottrina dei ‘topica’ e dei ‘segni’;3) nel carattere 'globale' della prova stessa, fondata sulla distinzione, ed al tempo stesso, sulla sintesi tra prove 'artificiali' ed 'inartificiali', secondo una sapiente commistione di tecniche induttive e deduttive.
CERAMI, DI CHIARA, MICELI (2003). PROFILI PROCESSUALISTICI DELL'ESPERIENZA GIURIDICA EUROPEA.DALL'ESPERIENZA ROMANA ALL'ESPERIENZA MODERNA. Torino : Giappichelli.
PROFILI PROCESSUALISTICI DELL'ESPERIENZA GIURIDICA EUROPEA.DALL'ESPERIENZA ROMANA ALL'ESPERIENZA MODERNA
CERAMI, Pietro;DI CHIARA, Giuseppe;MICELI, Maria
2003-01-01
Abstract
Il lavoro, trae il suo spunto iniziale dall’intento di discutere interdisciplinariamente una problematica di notevole interesse, sia per i profili politico-sociali che tecnico-giuridici: l’esigenza di creare, all’interno dello stesso sistema processuale, riti differenziati in relazione alla repressione di differenti fattispecie criminose, analizzando, in particolare, il valore centrale assunto in tal senso dalla ‘prova’. A tal proposito il pensiero degli studiosi, non solo romanisti, corre immediatamente all’esperienza delle Quaestiones perpetuae, che rappresentano, forse, la massima espressione, storicamente realizzata, del principio della netta differenziazione dei riti processuali in relazione alle diverse fattispecie criminose. L’interesse nasce, però, non tanto da un punto di vista sostanziale, in riferimento a figure criminose quali il crimen repetundarum, crimen peculatus o crimen maiestatis ma soprattutto dal punto di vista processuale, in relazione ai caratteri tipologici ed alla struttura stessa del riti in questione, e soprattutto al ruolo ed alla caratterizzazione del tutto particolare e, a nostro parere, di estremo interesse, che la ‘prova’ riveste all’interno di tale sistema processuale. In relazione al dibattito odierno nessuno dubita, infatti, che la sfida si giochi proprio sul 'terreno probatorio', visto che, in relazione ad alcune fattispecie criminali particolari, le principali difficoltà si riscontrano proprio nell'applicazione dei normali canoni probatori sia in ‘sede di acquisizione’ delle prove, così come in sede di ‘valutazione del materiale probatorio’ raccolto (superamento dell' “ottica parcellizzante” relativa ai singoli episodi delittuosi, conseguimento di una visione di insieme che inquadri il fenomeno criminoso in maniera unitaria e complessiva). Al riguardo si è ritenuto che interessanti spunti di riflessione potessero derivare anche da una ricerca giuridica di carattere storico-comparativistico riguardante la ‘prova retorica’, cioè quel modello di prova vigente al tempo delle Quaestiones perpetuae. Non risponde al vero l'affermazione per cui la prova retorica non si fonderebbe su criteri logici e razionali. La retorica, almeno nella sistemazione aristotelica, ma già precedentemente, può essere considerata una disciplina di carattere scientifico. Risulta, inoltre, contradditorio che, da un canto, per ammissione degli stessi giuristi romani, si riconosce che il recepimento e la diffusione delle categorie della logica greca abbiano contribuito decisamente alla sistemazione scientifica del diritto (tanto che si discute a tal proposito addirittura di “rivoluzione scientifica"), mentre, dall’altro, nel settore processuale si pensa che la penetrazione delle stesse tecniche argomentative abbia ritardato il processo di razionalizzazione della prova e, quindi, del processo penale in genere. Inoltre gli aspetti essenziali che qualificano il modello probatorio retorico non sono tali da porre in dubbio la sua intrinseca 'razionalità', ma sottendono tutta una diversa visione del processo, intrisa di valori condivisibili e vicini più di quanto si immagini all'esperienza moderna. Tali elementi essenziali possono sinteticamente identificarsi e ravvisarsi: 1) nella natura 'antilogica' e 'dialogica' del processo di formazione ed assunzione della prova, articolata ed incentrata sulla dottrina degli status, ovvero dei "centri di argomentazione", in relazione ai quali i stabiliscono regole e criteri per la ricerca e valutazione dei vari mezzi di prova( rules of esclusions), e tramite la quale si realizza quella particolare ‘alchimia’ volta alla sussunzione del fatto nel principio di diritto; 2) nella convinzione che scopo del processo sia la ricerca del ' probabile' , nella sua valenza filosofico-scientifica, in connessione alla dottrina dei ‘topica’ e dei ‘segni’;3) nel carattere 'globale' della prova stessa, fondata sulla distinzione, ed al tempo stesso, sulla sintesi tra prove 'artificiali' ed 'inartificiali', secondo una sapiente commistione di tecniche induttive e deduttive.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.