Nel nostro paese la comunicazione nelle pubbliche amministrazioni dovrebbe avere, sulla carta, un ruolo sempre più strategico. Nell'era di Internet si perfezionano e affinano le tecniche e le modalità, si intensificano i flussi di informazione, si sperimentano nuove metodologie di ascolto, si tenta di semplificare il linguaggio in uso negli uffici pubblici. Si arricchisce anche la letteratura scientifica sul tema, si moltiplicano dibattiti, convegni, tavole rotonde e, di conseguenza, gli interventi normativi e le direttive emesse dai governi. In concreto, però, spesso le novità normative vengono attuate in modo riluttante o gattopardesco. La burocrazia talora sembra ancora abbarbicata a linguaggi anacronistici o pronta ad accogliere il nuovo nel modo peggiore, scimmiottando locuzioni figlie di una cultura manageriale ancora non assimilata, tendenzialmente incline a rifugiarsi in comportamenti elusivi. La parte del volume a firma di Cangemi riguarda soprattutto il linguaggio burocratico. La prima parte, redatta da La Spina, comprende il cap. I “Un decalogo per le pubbliche amministrazioni”, che offre in forma di precetti sintetici alcune indicazioni di condotta (desunte sia da esperienze per lo più di altri paesi, sia dalla letteratura). Il cap. II delinea un’amministrazione che non si limiti, nel comunicare, a ricevere richieste e talora reclami, ma si attivi essa stessa allo scopo di ottenere dai portatori di interesse informazioni e indicazioni che sono indispensabili per valutare il proprio rendimento e possibilmente migliorarlo. Vi si parla dei vantaggi, rischi, tipi e tecniche di consultazione, con un paragrafo finale specificamente dedicato al mondo della scuola. Il cap. III si sofferma sulle peculiarità della comunicazione pubblica in sanità (uno dei settori in cui, nel nostro paese, essa appare più sviluppata), e poi più nello specifico sul trattamento dei bambini nel contesto dell’ospedalizzazione pediatrica. Il cap. IV, “La letteratura sulla comunicazione pubblica: successo senza maturazione”, passa in rassegna una produzione bibliografica sempre più cospicua, in cui prevale il taglio manualistico, operativo, raccordato alle esigenze e al punto di vista dei committenti (con contributi talora, ma non sempre, di buon livello), mentre vi è penuria di ricerche sul campo svolte in modo rigoroso da analisti indipendenti (che sono il presupposto di un sapere appunto maturo). Il cap. V, “La formazione universitaria dei comunicatori pubblici”, evidenzia come per un verso questa professionalità non possa improvvisarsi, in quanto richiede una qualificazione interdisciplinare e mirata che dovrebbe essere il tipico risultato di un percorso universitario ad hoc, mentre, per altro verso, pur trovandoci in Italia in presenza di una massiccia proliferazione dei corsi di laurea in Scienze della comunicazione, sono all’opera una serie di fattori che orientano i contenuti di tale offerta formativa altrove, rispetto a ciò che il comunicatore pubblico dovrebbe apprendere. A fronte di un insieme di corsi ormai pletorico, occorrerebbe mantenere la specializzazione di alcuni corsi di laurea e alcune sedi. Il cap. VI illustra il rilevante corpus di direttive (su temi quali, tra gli altri, la rilevazione della qualità percepita, la rendicontazione sociale, i servizi on line, il linguaggio burocratico) che arricchisce e precisa le disposizioni legislative, e analizza le rilevazioni esistenti volte a dar conto dell’attuazione della l. 150/2000, evidenziando un persistente gap tra intenzioni del legislatore e realtà effettiva di molte amministrazioni, specie in alcune parti del paese.
LA SPINA A, CANGEMI A (2009). Comunicazione pubblica e Burocrazia. MILANO : Franco Angeli.
Comunicazione pubblica e Burocrazia
LA SPINA, Antonio;
2009-01-01
Abstract
Nel nostro paese la comunicazione nelle pubbliche amministrazioni dovrebbe avere, sulla carta, un ruolo sempre più strategico. Nell'era di Internet si perfezionano e affinano le tecniche e le modalità, si intensificano i flussi di informazione, si sperimentano nuove metodologie di ascolto, si tenta di semplificare il linguaggio in uso negli uffici pubblici. Si arricchisce anche la letteratura scientifica sul tema, si moltiplicano dibattiti, convegni, tavole rotonde e, di conseguenza, gli interventi normativi e le direttive emesse dai governi. In concreto, però, spesso le novità normative vengono attuate in modo riluttante o gattopardesco. La burocrazia talora sembra ancora abbarbicata a linguaggi anacronistici o pronta ad accogliere il nuovo nel modo peggiore, scimmiottando locuzioni figlie di una cultura manageriale ancora non assimilata, tendenzialmente incline a rifugiarsi in comportamenti elusivi. La parte del volume a firma di Cangemi riguarda soprattutto il linguaggio burocratico. La prima parte, redatta da La Spina, comprende il cap. I “Un decalogo per le pubbliche amministrazioni”, che offre in forma di precetti sintetici alcune indicazioni di condotta (desunte sia da esperienze per lo più di altri paesi, sia dalla letteratura). Il cap. II delinea un’amministrazione che non si limiti, nel comunicare, a ricevere richieste e talora reclami, ma si attivi essa stessa allo scopo di ottenere dai portatori di interesse informazioni e indicazioni che sono indispensabili per valutare il proprio rendimento e possibilmente migliorarlo. Vi si parla dei vantaggi, rischi, tipi e tecniche di consultazione, con un paragrafo finale specificamente dedicato al mondo della scuola. Il cap. III si sofferma sulle peculiarità della comunicazione pubblica in sanità (uno dei settori in cui, nel nostro paese, essa appare più sviluppata), e poi più nello specifico sul trattamento dei bambini nel contesto dell’ospedalizzazione pediatrica. Il cap. IV, “La letteratura sulla comunicazione pubblica: successo senza maturazione”, passa in rassegna una produzione bibliografica sempre più cospicua, in cui prevale il taglio manualistico, operativo, raccordato alle esigenze e al punto di vista dei committenti (con contributi talora, ma non sempre, di buon livello), mentre vi è penuria di ricerche sul campo svolte in modo rigoroso da analisti indipendenti (che sono il presupposto di un sapere appunto maturo). Il cap. V, “La formazione universitaria dei comunicatori pubblici”, evidenzia come per un verso questa professionalità non possa improvvisarsi, in quanto richiede una qualificazione interdisciplinare e mirata che dovrebbe essere il tipico risultato di un percorso universitario ad hoc, mentre, per altro verso, pur trovandoci in Italia in presenza di una massiccia proliferazione dei corsi di laurea in Scienze della comunicazione, sono all’opera una serie di fattori che orientano i contenuti di tale offerta formativa altrove, rispetto a ciò che il comunicatore pubblico dovrebbe apprendere. A fronte di un insieme di corsi ormai pletorico, occorrerebbe mantenere la specializzazione di alcuni corsi di laurea e alcune sedi. Il cap. VI illustra il rilevante corpus di direttive (su temi quali, tra gli altri, la rilevazione della qualità percepita, la rendicontazione sociale, i servizi on line, il linguaggio burocratico) che arricchisce e precisa le disposizioni legislative, e analizza le rilevazioni esistenti volte a dar conto dell’attuazione della l. 150/2000, evidenziando un persistente gap tra intenzioni del legislatore e realtà effettiva di molte amministrazioni, specie in alcune parti del paese.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.