Il presente lavoro di ricerca intende offrire una rilettura del pensiero di Giorgio Agamben alla luce della pubblicazione di L’uso dei corpi, volume con cui si conclude il ventennale progetto “Homo sacer”. In particolare, si discuteranno alcune nozioni fondamentali della filosofia agambeniana – nuda vita, stato di eccezione, inoperosità, forma-di-vita – a partire dalla formulazione conclusiva, ma non definitiva, che il filosofo propone nel libro in questione, per poi focalizzare l’attenzione sulla categoria nella quale si condensa l’intero percorso filosofico di Agamben: la “potenza destituente”. Quest’ultima viene definita come una potenza in grado di disattivare e rendere inoperosa la macchina bio-ontologico-politica occidentale alla quale il filosofo attribuisce la posizione di quel bando che separa “zoè” e “bios” e che esclude e al contempo implica la vita nella forma della nuda vita. Dopo aver analizzato il concetto di potenza destituente e la sua genesi all’interno della ricerca di Agamben, si metteranno in evidenza alcuni aspetti problematici di questa proposta teorica, la quale indica nel ricongiungimento di “zoe” e “bios” in una di “forma-di-vita” la via che conduce alla destituzione della macchina bio-ontologico-politica. In questa prospettiva si metterà in rilievo lo statuto aporetico su cui riposa la formulazione agambeniana della forma-di-vita come “vita inseparabile dalla sua forma”, mostrando come questo concetto non giunga alla destituzione della macchina, ma ne resti all’interno, poiché́ esso depone la forma senza abolirla, bensì conservandola. Nel tentativo di superare l’aporia insita nel carattere destituente del concetto agambeniano, si tenterà di offrire un’ulteriore articolazione della forma-di-vita attraverso la “formaǀdiǀvita”, dove la vita, nel deporre la forma, la nullifica e la abolisce. Il concetto di formaǀdiǀvita fa segno verso un “puro lasciar cadere le forme”, verso una vita non ricongiungibile a nessuna forma che porta con sé una nullificazione gioiosa della macchina bio-ontologico-politica dell’Occidente. La formaǀdiǀvita, in quanto vita radicalmente libera e sottratta a qualsiasi forma verrà descritta come una vita “assolutamente inconcepibile” che allo stato attuale non può essere individuata da nessuna parte. Al suo apparire nessun pensiero e nessun linguaggio potranno più darsi perché la formaǀdiǀvita emerge soltanto nel momento in cui essi saranno deposti e aboliti insieme alla macchina che incessantemente riproducono.

Cinquemani, L.Riflessioni critiche sulla potenza destituente nel pensiero di Giorgio Agamben.

Riflessioni critiche sulla potenza destituente nel pensiero di Giorgio Agamben

Cinquemani, Luca

Abstract

Il presente lavoro di ricerca intende offrire una rilettura del pensiero di Giorgio Agamben alla luce della pubblicazione di L’uso dei corpi, volume con cui si conclude il ventennale progetto “Homo sacer”. In particolare, si discuteranno alcune nozioni fondamentali della filosofia agambeniana – nuda vita, stato di eccezione, inoperosità, forma-di-vita – a partire dalla formulazione conclusiva, ma non definitiva, che il filosofo propone nel libro in questione, per poi focalizzare l’attenzione sulla categoria nella quale si condensa l’intero percorso filosofico di Agamben: la “potenza destituente”. Quest’ultima viene definita come una potenza in grado di disattivare e rendere inoperosa la macchina bio-ontologico-politica occidentale alla quale il filosofo attribuisce la posizione di quel bando che separa “zoè” e “bios” e che esclude e al contempo implica la vita nella forma della nuda vita. Dopo aver analizzato il concetto di potenza destituente e la sua genesi all’interno della ricerca di Agamben, si metteranno in evidenza alcuni aspetti problematici di questa proposta teorica, la quale indica nel ricongiungimento di “zoe” e “bios” in una di “forma-di-vita” la via che conduce alla destituzione della macchina bio-ontologico-politica. In questa prospettiva si metterà in rilievo lo statuto aporetico su cui riposa la formulazione agambeniana della forma-di-vita come “vita inseparabile dalla sua forma”, mostrando come questo concetto non giunga alla destituzione della macchina, ma ne resti all’interno, poiché́ esso depone la forma senza abolirla, bensì conservandola. Nel tentativo di superare l’aporia insita nel carattere destituente del concetto agambeniano, si tenterà di offrire un’ulteriore articolazione della forma-di-vita attraverso la “formaǀdiǀvita”, dove la vita, nel deporre la forma, la nullifica e la abolisce. Il concetto di formaǀdiǀvita fa segno verso un “puro lasciar cadere le forme”, verso una vita non ricongiungibile a nessuna forma che porta con sé una nullificazione gioiosa della macchina bio-ontologico-politica dell’Occidente. La formaǀdiǀvita, in quanto vita radicalmente libera e sottratta a qualsiasi forma verrà descritta come una vita “assolutamente inconcepibile” che allo stato attuale non può essere individuata da nessuna parte. Al suo apparire nessun pensiero e nessun linguaggio potranno più darsi perché la formaǀdiǀvita emerge soltanto nel momento in cui essi saranno deposti e aboliti insieme alla macchina che incessantemente riproducono.
Giorgio Agamben; Homo sacer; potenza destituente; forma-di-vita; inoperosità; formaǀdiǀvita
Cinquemani, L.Riflessioni critiche sulla potenza destituente nel pensiero di Giorgio Agamben.
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