La ricezione del pensiero levinasiano nella critica contemporanea ha spesso posto il problema della coerenza teorica e della sostenibilità esistenziale dell’idea di soggettività progressivamente maturata dal filosofo francese, secondo tratti di ridondante e insostenibile tragicità. L’enfasi innegabile con cui in 'Autrement qu’être ou au-delà de l’essence' la soggettività viene declinata in termini di passività radicale, sembrerebbe comportare, agli occhi di certe letture, il depauperamento fino alla negazione di ogni esercizio di consistenza vigente nell’io. Come se si trattasse di celebrare l’impossibilità stessa del vivere soggettivo. Il presente lavoro si confronta senza riserve con tale ipotesi, ma lo fa proprio per scandagliare questa stessa figura dell’Impossibile, scommettendo che, come suggerisce Derrida, in essa bisogna imparare a scorgere non il fallimento di una impresa teorica bensì la sfida che ci può portare nel cuore stesso di ciò che è esistenzialmente possibile. Riattraversando le più sollecitanti e feconde tensioni che il pensiero levinasiano tiene in sé aperte, può risultare legittimata l’ipotesi che l’utopia, come ritardo irrecuperabile che anima una tensione in fieri, costituisca la cifra ultima di una soggettività destinata a vivere il privilegio e il peso di uno scarto tra l’Impossibile e il possibile. Laddove l’impossibilità del compito infinito a cui l’io è esposto in quanto segnato da responsabilità diventa per l’umano l’unico modo concreto e possibile di stare al mondo. Solo così, infatti, la fallibilità dell’io, il suo continuo rischio di cedere alla possibilità del male restano pur sempre ospitati entro un più originario, e capace di futuro, legame al Bene, secondo un’irriducibile vocazione che determina il proprio del soggetto.
Guzzetta, R.L'impossibile riserva del possibile. La soggettività utopica in Levinas.
L'impossibile riserva del possibile. La soggettività utopica in Levinas
GUZZETTA, Rosa Laura
Abstract
La ricezione del pensiero levinasiano nella critica contemporanea ha spesso posto il problema della coerenza teorica e della sostenibilità esistenziale dell’idea di soggettività progressivamente maturata dal filosofo francese, secondo tratti di ridondante e insostenibile tragicità. L’enfasi innegabile con cui in 'Autrement qu’être ou au-delà de l’essence' la soggettività viene declinata in termini di passività radicale, sembrerebbe comportare, agli occhi di certe letture, il depauperamento fino alla negazione di ogni esercizio di consistenza vigente nell’io. Come se si trattasse di celebrare l’impossibilità stessa del vivere soggettivo. Il presente lavoro si confronta senza riserve con tale ipotesi, ma lo fa proprio per scandagliare questa stessa figura dell’Impossibile, scommettendo che, come suggerisce Derrida, in essa bisogna imparare a scorgere non il fallimento di una impresa teorica bensì la sfida che ci può portare nel cuore stesso di ciò che è esistenzialmente possibile. Riattraversando le più sollecitanti e feconde tensioni che il pensiero levinasiano tiene in sé aperte, può risultare legittimata l’ipotesi che l’utopia, come ritardo irrecuperabile che anima una tensione in fieri, costituisca la cifra ultima di una soggettività destinata a vivere il privilegio e il peso di uno scarto tra l’Impossibile e il possibile. Laddove l’impossibilità del compito infinito a cui l’io è esposto in quanto segnato da responsabilità diventa per l’umano l’unico modo concreto e possibile di stare al mondo. Solo così, infatti, la fallibilità dell’io, il suo continuo rischio di cedere alla possibilità del male restano pur sempre ospitati entro un più originario, e capace di futuro, legame al Bene, secondo un’irriducibile vocazione che determina il proprio del soggetto.File | Dimensione | Formato | |
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Descrizione: TESI DI DOTTORATO
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