Il lavoro monografico intende soffermarsi sulla reale natura teorico-pratica dell’istituto conferenziale: se appunto qualificarlo alla stregua di un fenomeno procedimentale ad impatto organizzativo; ovvero un fenomeno meramente metodologico, neutro rispetto alla funzione amministrativa in divenire; ovvero ancora un fenomeno che abbia dell’uno e dell’altro, nel qual caso occorrerà definirne i lineamenti giuridici essenziali e peculiari che eventualmente ne rendano l’originalità rispetto alle tesi finora prospettate. Il risultato cui si perviene attraverso il percorso argomentativo effettuato conduce ad affermare che la funzione amministrativa non debba prescindere (del tutto) dalla funzione procedimentale, sia questa tradizionale sia infrastrutturale sia collegiale. Logica conseguenza è che la funzione conferenziale attinga dala funzione amministrativa, seppur in modo del tutto peculiare, in guisa tale che la struttura procedimentale entra nella prima delle due funzioni anzidette: pertanto, anche a volere ritenere “neutra” l’operazione amministrativa conferenziale, sarebbe comunque più appropriato parlare in proposito di procedimento conferenziale. Una simile affermazione, peraltro, si muove in linea con il precipitato concettuale della teoria sostanzialista, cui si accennava in precedenza, di Benvenuti e Giannini, per i quali il procedimento è sostanza, e non solo forma, della funzione amministrativa: sarebbe destituita di fondamento quella tesi che provi a distinguere ed a separare in compartimenti stagni la funzione amministrativa dalla funzione procedimentale (ed in qualche modo da quella giurisdizionale). Senza che con questo si pervenga all’altrettanto errata conclusione di negare qualsivoglia autonomia giuridica propria del procedimento conferenziale. Sotto altro profilo, l’angolo visuale della funzione amministrativa conferenziale offre lo spunto per indagare sulle correlazioni (e le implicazioni) dell’istituto con i problemi inerenti al fenomeno della atomizzazione delle competenze, del policentrismo organizzativo e dell’eccessiva articolazione delle procedure amministrative: il tutto alla luce delle profonde trasformazioni dell’assetto istituzionale (costituzionale, comunitario ed interno) ed amministrativo (dal 1990 al 2001). Andrà attentamente pensata, pertanto, tutta la disciplina della conferenza distinguendo quanto è principio attinente allo “statuto” del cittadino e quanto attiene invece all’organizzazione e al funzionamento delle singole amministrazioni. Da tale spunto è scaturito uno sconfinamento in nozioni non ancora puntualmente enucleate dalla dottrina qual è, tra le altre, l’unicità dell’amministrazione, alla quale è strettamente connessa la problematica relativa alla configurazione della conferenza alla stregua di modulo generale. Non deve sfuggire, infatti, il fatto che il nuovo disegno della competenza legislativa dei vari livelli istituzionali in materia (si allude al nuovo Titolo V, parte II, della Costituzione) potrebbe sortire effetti di non poco momento sull’esercizio della funzione amministrativa. Realtà che riteniamo opportuno riassumere nel seguente slogan: “dalla legislazione condivisa alla amministrazione condivisa”. In questa prospettiva tutta la disciplina della conferenza di servizi, quando incide sul riparto delle competenze tra gli enti territoriali (in particolar modo, l’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990) andrà rivisitata alla luce della riforma del Titolo V, in guisa da scongiurare subdoli ritorni al centro della competenza decisionale e per questa via, sotto l’angolo visuale del principio di sussidiarietà verticale, tentare di ascrivere l’istituto conferenziale nel contesto specifico dei raccordi amministrativi da realizzarsi su un piano il più possibile paritario fra i soggetti protagonisti (in nuove vesti) del rinnovato assetto autonomistico sancito dal nuovo Titolo V . L’impostazione metodologica adottata, vale a dire la suddivisione dell’analisi in due partizioni distinte, tuttavia non deve far perdere di vista l’anima unitaria dell’istituto conferenziale, il filo conduttore che accomuna, sia pure con le peculiarità che emergeranno nel prosieguo della trattazione, il ruolo partecipativo dei soggetti privati e delle amministrazioni partecipanti. Sullo sfondo infatti è chiaramente percepibile, a nostro avviso, il forte grado di commensurabilità tra due principi che, almeno storicamente e formalmente, hanno giocato un ruolo differente: il principio del giusto procedimento e quello della leale collaborazione interistituzionale, la cui operatività consente di “tessere la tela” dell’assoggettabilità della funzione amministrativa conferenziale al controllo giurisdizionale
Impastato, I. (2008). LA CONFERENZA DI SERVIZI TRA GIUSTO PROCEDIMENTO E LEALE COLLABORAZIONE. TORINO : GIAPPICHELLI.
LA CONFERENZA DI SERVIZI TRA GIUSTO PROCEDIMENTO E LEALE COLLABORAZIONE
IMPASTATO, Ignazio
2008-01-01
Abstract
Il lavoro monografico intende soffermarsi sulla reale natura teorico-pratica dell’istituto conferenziale: se appunto qualificarlo alla stregua di un fenomeno procedimentale ad impatto organizzativo; ovvero un fenomeno meramente metodologico, neutro rispetto alla funzione amministrativa in divenire; ovvero ancora un fenomeno che abbia dell’uno e dell’altro, nel qual caso occorrerà definirne i lineamenti giuridici essenziali e peculiari che eventualmente ne rendano l’originalità rispetto alle tesi finora prospettate. Il risultato cui si perviene attraverso il percorso argomentativo effettuato conduce ad affermare che la funzione amministrativa non debba prescindere (del tutto) dalla funzione procedimentale, sia questa tradizionale sia infrastrutturale sia collegiale. Logica conseguenza è che la funzione conferenziale attinga dala funzione amministrativa, seppur in modo del tutto peculiare, in guisa tale che la struttura procedimentale entra nella prima delle due funzioni anzidette: pertanto, anche a volere ritenere “neutra” l’operazione amministrativa conferenziale, sarebbe comunque più appropriato parlare in proposito di procedimento conferenziale. Una simile affermazione, peraltro, si muove in linea con il precipitato concettuale della teoria sostanzialista, cui si accennava in precedenza, di Benvenuti e Giannini, per i quali il procedimento è sostanza, e non solo forma, della funzione amministrativa: sarebbe destituita di fondamento quella tesi che provi a distinguere ed a separare in compartimenti stagni la funzione amministrativa dalla funzione procedimentale (ed in qualche modo da quella giurisdizionale). Senza che con questo si pervenga all’altrettanto errata conclusione di negare qualsivoglia autonomia giuridica propria del procedimento conferenziale. Sotto altro profilo, l’angolo visuale della funzione amministrativa conferenziale offre lo spunto per indagare sulle correlazioni (e le implicazioni) dell’istituto con i problemi inerenti al fenomeno della atomizzazione delle competenze, del policentrismo organizzativo e dell’eccessiva articolazione delle procedure amministrative: il tutto alla luce delle profonde trasformazioni dell’assetto istituzionale (costituzionale, comunitario ed interno) ed amministrativo (dal 1990 al 2001). Andrà attentamente pensata, pertanto, tutta la disciplina della conferenza distinguendo quanto è principio attinente allo “statuto” del cittadino e quanto attiene invece all’organizzazione e al funzionamento delle singole amministrazioni. Da tale spunto è scaturito uno sconfinamento in nozioni non ancora puntualmente enucleate dalla dottrina qual è, tra le altre, l’unicità dell’amministrazione, alla quale è strettamente connessa la problematica relativa alla configurazione della conferenza alla stregua di modulo generale. Non deve sfuggire, infatti, il fatto che il nuovo disegno della competenza legislativa dei vari livelli istituzionali in materia (si allude al nuovo Titolo V, parte II, della Costituzione) potrebbe sortire effetti di non poco momento sull’esercizio della funzione amministrativa. Realtà che riteniamo opportuno riassumere nel seguente slogan: “dalla legislazione condivisa alla amministrazione condivisa”. In questa prospettiva tutta la disciplina della conferenza di servizi, quando incide sul riparto delle competenze tra gli enti territoriali (in particolar modo, l’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990) andrà rivisitata alla luce della riforma del Titolo V, in guisa da scongiurare subdoli ritorni al centro della competenza decisionale e per questa via, sotto l’angolo visuale del principio di sussidiarietà verticale, tentare di ascrivere l’istituto conferenziale nel contesto specifico dei raccordi amministrativi da realizzarsi su un piano il più possibile paritario fra i soggetti protagonisti (in nuove vesti) del rinnovato assetto autonomistico sancito dal nuovo Titolo V . L’impostazione metodologica adottata, vale a dire la suddivisione dell’analisi in due partizioni distinte, tuttavia non deve far perdere di vista l’anima unitaria dell’istituto conferenziale, il filo conduttore che accomuna, sia pure con le peculiarità che emergeranno nel prosieguo della trattazione, il ruolo partecipativo dei soggetti privati e delle amministrazioni partecipanti. Sullo sfondo infatti è chiaramente percepibile, a nostro avviso, il forte grado di commensurabilità tra due principi che, almeno storicamente e formalmente, hanno giocato un ruolo differente: il principio del giusto procedimento e quello della leale collaborazione interistituzionale, la cui operatività consente di “tessere la tela” dell’assoggettabilità della funzione amministrativa conferenziale al controllo giurisdizionaleFile | Dimensione | Formato | |
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