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Giorgio Palumbo

Responsabilit� che misura il tempo, responsabilit� consegnata al tempo. Una possibile aporia nel pensiero di Levinas

1. Un vorticoso intreccio ^

Abitare il mondo segnati da una costitutiva temporalit� che ci rende viatores, esistenze viandanti. E trovarsi coinvolti, nelle pieghe pi� preziose di questa avventura, da una irrinunciabile corrente di responsabilit� che orienta i nostri passi. Quale rapporto pu� legare, in chiave profonda, le due dimensioni? Nella odierna temperie epocale l'interrogativo risuona con una intensit� particolare, per certi aspetti inedita. Perch� la nostra appartenenza al tempo e il nostro vissuto responsabile appaiono stretti da un intreccio, da un reciproco rinvio, che ha risvolti problematici radicali di cui siamo testimoni grazie a una pi� acuta coscienza della finitezza. Infatti, come mai � accaduto, ci sentiamo chiamati, con urgenza e su un piano planetario, a rispondere del tempo: il divenire della biosfera si � svelato campo vulnerabile sul quale incide con rischi impressionanti il nostro azzardato potere di modificare ogni equilibrio attorno a noi e dentro la nostra stessa natura. Per altro verso, mai come oggi una matura consapevolezza critica fa avvertire i condizionamenti temporali, gli aspetti di fallibilit� che investono le origini e l'orizzonte di senso di quell'agire responsabile senza il quale non sapremmo pi� riconoscere dignit� alla nostra esistenza. Siamo gravati da ardui compiti che riguardano le sorti dell'eco-sistema e dell'identit� antropologica, ma in crisi riguardo ai possibili fondamenti di una tensione etica capace di futuro, di respiro progettuale, di salda tenuta dinanzi al carico di negativit� che pesa sulle vicende dei singoli e sul destino comune. Proprio mentre il tempo si rivela affidato alle nostre mani, ci tocca essere turbati o affascinati dall'ipotesi che la fatica tutta umana di stare al gioco della responsabilit� sia da considerarsi �come una buccia galleggiante (...) nel mare delle contingenze�.1

In questo clima, il nuovo proporsi di un'�etica del finito�2 invita a custodire il cammino esistenziale senza ancorare lo status viatoris a garanzie di stabilit� e a mete ultime che riflettono solo presunzioni di possesso. Viene riscoperta la fecondit� teoretica ed etica dell'insecuritas come apertura a schegge di verit� e di valore che sfuggono a criteri di dominio. Da qui si trae incoraggiamento per procedere su una via �non pi� attrezzata di segnaletica, non pi� teleguidata dall'idea di progresso�, disposti ad avanzare �nella notte e nella nebbia� sorretti da una slancio di solidariet� che non si ripiega su lamenti sconsolati n� cerca ancora illusioni consolatorie.3 Persegue, piuttosto, lo �sforzo cooperativo, sempre suscettibile di insuccesso, di mitigare, sopprimere o impedire le sofferenze di creature corruttibili�.4

Una volta, per�, rifiutato ogni rassicurante ricorso a scenari metafisico-teologici o ad assoluti mondani, quali riferimenti aiuterebbero ancora a coltivare le passioni e le ragioni dell'impegno morale? Da cosa viene sorretta la nostra cresciuta sensibilit� nei confronti �di ci� che � mutevole ed � minacciato dalla corruzione�?5 Secondo molti amici della finitezza, proprio l'idea di una contingenza da valorizzare deve fornire alimento al percorso di responsabilit� che si addice alla nostra esistenza. Per dare sfondo all'esperienza del bene, come a quella del bello, non ci sarebbe �nulla di meno conveniente dell'eternit�.6 Uno sguardo attento sul contingente, invece, pu� scorgere in questo non pi� solo carenze e difetti o motivi di rassegnazione, bens� riferimenti guida. Sia perch� la nostra cura si accende e si sviluppa in ordine alla �fragilit� del transitorio�; sia perch� � grazie a un provenire incalcolabile, sganciato da necessit� e imposizioni, che siamo �liberi e responsabili in questo frammento di tempo che ci � dato di vivere�.7 Ma davvero sarebbe la regia della contingenza con il suo ritmo imprevedibile e il suo �messaggio morale� a rendere possibile il sorgere e l'orientarsi della nostra avventura di responsabilit�? O questa remissione di tutto al �cieco accadere� potrebbe comportare la �catastrofe fondazionale�8 dell'agire responsabile? Siamo in dialogo con un richiamo che ci interpella senza essere a nostra disposizione e offrendo una misura che sfugge a ogni legge di transitoriet�, o siamo, al contrario, i protagonisti di un dover essere nato accidentalmente, scelto e pattuito per via congetturale, del quale dobbiamo rispondere solo a noi stessi in forme temporalmente rivedibili?

In questo quadro, e rispetto alle domande lasciate in sospeso, la maniera in cui Levinas ha inteso penser de maniere �thique il darsi del tempo porta in s� suggestioni di notevole ricchezza e carica provocatoria. Infatti, come cercheremo di mostrare, lo scavo incessante che egli ha condotto riguardo al �trauma� della responsabilit� per l'altro, via d'accesso �al fondo della concretezza del tempo�, mette insieme, in forma senz'altro originale e complessa, una istanza di trascendenza ribadita con massimo vigore -- per cui nel cuore etico del tempo si darebbe l'affezione irreversibile del finito da parte dell'infinito -- e il tendenziale allontanamento da ogni concezione della temporalit� che la veda misurata dall'eterno e ad esso ordinata -- fino a nominare l'�infinito del tempo� come �migliore dell'eternit�.9

2. La configurazione diacronica del risveglio all'altro ^

� stato detto che il pensiero di Levinas �ha cambiato il corso della riflessione filosofica del nostro tempo� (J. Derrida). Con straordinario vigore il regno del logos � stato sfidato a riassestarsi perdendo tante tradizionali pretese -- tutte legate al trionfo dell'identico -- e riguadagnando sintonia con il radicale orientamento eteronomo che reca in s� l'appello etico. Sia come erede di una spiritualit� che considera la trascendenza di Dio indisponibile ai calcoli dimostrativi e mirabilmente accessibile nell'indigenza del pi� indifeso volto umano, sia come interprete eretico dello stile fenomenologico, Levinas ha scandagliato senza sosta l'evento �quotidiano e straordinario� della tensione di prossimit� che in tante forme e concretizzazioni colora il rapporto interumano. Quando la sensibilit� alla differenza (che certo si pu� attenuare fino a sembrare scomparsa ma mai spegnersi del tutto) si riaccende sotto il vivente appello di un volto che si aspetta qualcosa, �fosse anche un saluto�. Levinas ha scavato dentro lo sporgere verso l'esteriorit� che �sonnecchia gi� nel "buongiorno" e nel "dopo di lei"�, e ha liberato, contro ogni oblio e appiattimento, l'incontenibile ricchezza di significati che emerge dal luogo vicinissimo e insondabile dove accade il �risveglio all'altro uomo�.10 Ne � scaturita una rilettura dell'intera vicenda esistenziale alla luce esigente della responsabilit�, e una formidabile suggestione: ripensare la questione dell'essere, la tematica del soggetto, della verit�, del linguaggio, del tempo, della giustizia, prendendo sul serio la possibilit� che all'etica spetti il rango di filosofia prima, che ogni principale ambito semantico nel suo sorgere stesso sia segnato dalla chiamata a farsi carico dell'altro. Il discorso levinasiano spende la sua carica umanistica e il suo apporto teoretico nel restituire forza irriducibile a qualcosa che ha gi� sempre sorpreso l'io e non gli concede pi� acquietamento. Sul piano delle abituali rappresentazioni si tratta di ribaltare l'immagine ragionieristica e imborghesita della responsabilit�, vista come metodico lavoro di controllo della propria vita che le assicuri ordine e coerenza. A ben guardare, qui regna il potere amministrativo di un monologo identitario, una cura di s� che si tiene al riparo da incontri destabilizzanti. In tutt'altra prospettiva, per Levinas il nostro esser presi dalla responsabilit� non ha nulla da spartire con una oculata gestione di se stessi; comporta una impressionante dinamica di spossessamento. Rispettarla, sul piano della riflessione filosofica, vuol dire riscoprire in tutto il suo vigore l'originario coinvolgimento affettivo che determina il nostro stare al mondo, e ci vede afferrati dall'evento del senso prima e aldil� di ogni esercizio della coscienza di. Nel suo particolare modo di essere fenomenologo, Levinas ha recepito lezioni da Husserl e da Heidegger, ma ha in buona parte sconvolto l'assetto canonico della stessa fenomenologia, perch� non ha pi� assunto come riferimento base una soggettivit� coscienziale attiva, sempre in qualche modo intraprendente e protagonista. Si � messo, invece, al servizio di ci� che gi� ferisce lo stesso strutturarsi iniziale della intenzionalit� soggettiva. Ha potuto cos� smentire l'idea secondo cui la dimensione dei principi primi o, analogamente, l'instaurarsi fontale del rigore critico abbiano come perno il potere-diritto vantato dalla coscienza di portare ogni cosa davanti a s� per sottoporla al vaglio. La questione realmente primaria con cui si apre la scena del senso non riguarderebbe le garanzie che permettono sicura consistenza all'essere salvandolo dal non essere, e meno che mai le garanzie di certezza che il soggetto dubitante pu� trovare in se stesso. Concerne, invece, la messa in crisi della stessa esigenza di garanzie disponibili che anima sia una certa maniera di cercare appoggio nei fondali ontologici sia, in forma pi� esplicita, la celebrazione del principio soggettivit� quale ancoraggio indubitabile. L'esigenza mantiene indiscutibilmente fermo, come cardine prospettico, un piedistallo di auto-legittimazione su cui l'ego coscienziale si pretende gi� insediato e da cui muove per esaminare il mondo. Levinas rovescia questo impianto. La questione realmente fondamentale, per lui, riguarda invero l'io-in-questione. Si pu� formularla tramite una domanda che il soggetto patisce, che fa vacillare ogni sua pretesa: cosa giustifica il mio esserci, il mio �posto al sole�, cos� da non renderlo �usurpazione�?11 Ecco dove si terrebbe a battesimo la criticit�, dove si annuncerebbe l'autorevolezza di un principio primo: nella provocazione che investe il mio sacro diritto di mandare avanti il conatus essendi e scompiglia il mio �indisturbato possesso del mondo�. Da qui ricava la pi� vera ispirazione lo stesso dispiegarsi della razionalit� e si schiude il compito di riportare l'essere all'ordine della giustizia.

Questa profondit� di risonanze porta con s� l'affermazione che l' �intrigo etico� � la trama ultima dell'intelligibilit� (o che l'etica � filosofia prima). Per suffragare una simile tesi, Levinas ha esplorato due annodate meraviglie: l'esteriorit� di Altri, proprio restando in catturabile, mi riguarda e mi mette sotto giudizio (tema portante di Totalit� e Infinito); il moto esodale �per-altro� si rivela �l'avventura pi� profonda della soggettivit�, la sua �ultima intimit� (tesi chiave di Altrimenti che essere) 12. In gioco � sempre, nelle sue inesauribili implicazioni, la dinamica che spodesta ciascun io da una posizione di auto-sicurezza e lo trae fuori verso la nudit� imperiosa e insieme vulnerabile del volto d'Altri, il cui sguardo �proibisce ogni conquista� trasmettendo un �brivido che il Bene incute all'improvviso�, col quale mi strappa ad una impossibile indifferenza.13 La filosofia di Levinas persegue una instancabile �disubriacatura� che denuncia la rovinosa ebbrezza di presunzione con la quale la coscienza mira a chiudere ogni irruzione d'alterit� dentro un recinto da lei predisposto e sorvegliato.

Per l'analisi che si tenta di svolgere in queste pagine, occorre mettere in rilievo lo scontro che si determina tra il modo in cui la coscienza tende, per cos� dire, a lavorare il tempo e il modo in cui il tempo eticamente misurato lavora la coscienza. Tutto dipende dal fatto che l'evento della responsabilit� determina una configurazione severamente diacronica della compagine temporale, guastando l'apparato sincronizzante sempre all'opera nella coscienza. Quest'ultima, infatti, tesse immancabilmente la trama del presente, cuce e ricuce presenza in funzione di un ordine costruito e potenziato colmando i vuoti, inglobando distanze e differenze, neutralizzando scarti e sproporzioni. Proiettando sulle dimensioni dell'essere le sue reti percettive e concettuali, tende puntualmente a trattare ogni possibile realt� che si fa incontro come elemento da riportare in seno a un orizzonte di presenzialit� onni-accogliente.14 Ma quale � il segreto unitario di tale orizzonte e della sua (apparente) sconfinata ospitalit�? Il continuo ossessivo sforzo, da parte della coscienza, di non lasciare che qualcosa sfugga al vortice assorbente del circuito egologico mediante cui il soggetto attua l'auto-presenza, la presenza di s� a s� eretta a primo motore e a luogo finale di ricapitolazione dell'orizzonte del senso.

L'evento della responsabilit� disarticola nettamente questo abbraccio sinottico. Il soggetto � chiamato in causa a partire da un'origine rispetto a cui accusa un ritardo irrecuperabile e verso un a-venire che sospende ogni sua capacit� di anticipazione. La maniera in cui passato e futuro incidono in questa esperienza sconvolge la gestione della presenza di cui vuole sempre farsi protagonista l'io coscienziale, preoccupato di mantenere saldo il suo mestiere identitario. Dinanzi al volto d'Altri, la convocazione etica mi ha intaccato senza concedermi di assistere all'inaugurazione del gioco o di poterne riconquistare le fila: �Il prossimo mi convoca prima che io lo designi�; sono �traumaticamente comandato� senza poter �interiorizzare attraverso la rappresentazione e il concetto l'autorit� che mi comanda�.15 Non c'� stato tempo di far fronte, di contrattare, di chiedere ragioni e credenziali. Sono colpito �prima di poter accusare il colpo�, un passato senza inizio accertabile precede ogni mia decisione; allo stesso modo, un futuro di novit� mi trascina verso dove non mi � permesso preordinatamente di riprendermi. La coscienza come appercezione trascendentale, come sovrana autoreferenzialit�, viene irrimediabilmente dis-confermata, perch� l'altro, intrufolatosi �come un ladro�, ha gi� incrinato quel supposto equilibrio. Viene insomma a mancare la possibilit� di recuperare al presente, con la memoria, il debito che ci lega al passato e, con l'aspettativa anticipante, l'esposizione che ci assegna al futuro. L' �intrigo etico� smentisce l'idea del tempo come flusso coscienziale che mediante ritenzioni e prefigurazioni rende ogni provenienza e destinazione contemporanee al farsi presenza a s� dell'io. Ci parla invece di una diacronia insuperabile, di un �altro mai sincrono nello stesso�.16 Non c'� un a partire da s� della coscienza, per quanto implicito e aperto al servizio manifestativo, che farebbe da condizione per l'incontro con l'appello morale, e gi� avvierebbe, secondo un'inesorabile teleologia, il ritorno a s� di una identit� che tutto assimila. Il prima che pesa nell'anteriorit� della convocazione etica attesta che sono gi� nella luce della responsabilit�: non una luce governata dalla intenzionalit� rappresentativa, ma una luce a cui non posso sottrarmi. Ad essa corrisponde, affettivamente, un pensare che �fa pi� e meglio che pensare� proprio perch� coincide con il lasciarsi coinvolgere e spiazzare, come accade alla cartesiana idea dell'infinito, da un contenuto non contenibile.17

Per Levinas il pathos della responsabilit� parla di un' �Autorit� infinita� del Bene che vige nel rapporto interumano senza essere risorsa prodotta dall'io o dall'altro uomo.18 E senza essere riconducibile a un ente sommo oggetto di tematizzazione e di dimostrazione mediante le piste ontoteologiche attaccate da Heidegger. L'infinito, piuttosto, si mantiene in rapporto con l'esistenza lasciando una traccia, operando in contrazione e discrezione: la sua �venuta a me � un assentarsi che mi permette di compiere un movimento verso il prossimo�.19 Infinito, dunque, che, tenendo le distanze, preserva la sua assolutezza ma insieme d� spazio al libero impegno del soggetto, non si consegna alla positivit� di una presenza, ma sollecita la �positivit� della torsione verso Altri.

Cos� il tempo, in quanto misurato dalla responsabilit�, iscrive il volto di Altri a me prossimo nella traccia enigmatica, sempre dileguatasi come un segno che cancella se stesso, di un �altrimenti o assolutamente altro�, �terza persona� dell'intrigo etico che pu� venire al pensiero e alla parola solo a partire dalla scena, inspiegabile in termini di prevaricante logica del conatus essendi, del gratuito dis-inter-esse tra gli uomini.20 L' Illeit� sarebbe il �non si sa da dove� a cui resta legata la diacronia irreversibile del tempo e la �curvatura dello spazio intersoggettivo�, secondo un orientamento che scava asimmetria tra me e Altri (per cui Altri viene sempre prima di me). In risposta alla umile e provocante altezza di Altri viene a rideterminarsi la mia soggettivit� di unico: sono io perch� nessuno pu� rispondere al mio posto. Sono io non grazie ad un potere di autoaffermazione ma a partire da una differenza che mi obbliga alla non-indifferenza. La parola forte in cui Levinas racchiude il tratto caratterizzante della convocazione etica �: passivit� non assumable. Un fondo passivo da cui non ci si riscatta, che scombussola ogni piano di rapporto tra ricevere e dare, che non permette al tempo della reazione di pareggiare i conti con l'evento da cui si resta affetti. Va sottolineata l'incisivit� con la quale Levinas, per rispetto fenomenologico all'esperienza morale, ha riproposto (sulla scia di Platone, di Cartesio, ma anche di altri pensatori della trascendenza) il disegno formale di un rapporto irriducibilmente sproporzionato che afferra l'esistenza vincolandola a ci� che non si lascia relativizzare ad essa. Questo rapporto ha un genuino tenore etico-metafisico proprio perch� apre il soggetto a dimensioni irrappresentabili (l'infinito, l'altro, la trascendenza) che non si lasciano commisurare al rapporto stesso, mentre intaccano e riconfigurano l'identit� dell'io.

Nominare la passivit� inassumibile comporta un cruciale distacco dalla tipica modulazione che il pensiero moderno ha dato alla passivit�: �recettivit� seguita da un'assunzione�.21 Ovvero, recettivit� sempre controbilanciata dall'assunzione. Dove assumere vuol dire precisamente riprendere in mano l'iniziativa e condurre il gioco, rendendo il debito recettivo un momento funzionale che cade dentro l'auto-attivarsi del proprio procedere.22 Per affrancarsi del tutto dal paradigma della passivit� assumibile, Levinas attinge all'idea di condizione creaturale. La finitezza della creatura, che viene ad esistere ex nihilo, appare costitutivamente marcata dall'impossibilit� di recuperare o correlare attivamente il proprio principio. Solo evocando tale condizione, che in modo emblematico mette a fuoco quale diacronia e �anarchia� contrassegni la passivit�, ci si pu� accostare al tono radicale dell'appello etico: �Sono impegnato nella responsabilit� per altri secondo lo schema singolare disegnato da una creatura che risponde al fiat della Genesi, che ascolta la parola prima di essere stata mondo e al mondo� .23

3. Responsabilit� e condizione creaturale ^

Bisogna subito ricordare che Levinas non solo riconduce, in modo altamente suggestivo, l'intrigo etico al modello della dipendenza creaturale, ma si serve altres� di una chiave prevalentemente etica per interpretare, con pari forza suggestiva, il tema stesso della creazione.24 Egli infatti, mantenendo la sua diffidenza rispetto alle categorie ontologiche, soprattutto quando � in ballo il tentativo di portare al pensiero la trascendenza divina, vuole disincagliare l'idea di creazione, ricca di una significazione pi� antica di ogni contesto speculativo, dalle difficolt� e ambiguit� di un esame teorico che analizzi il rapporto tra l'assoluto e il finito sul piano dell'essere.25 Cerca in essa, piuttosto, implicazioni agatologiche che eccedono quel piano e guadagnano una decisiva soglia etica. Proprio la creazione, anzi, rivelerebbe (in analogia con il primato platonico del bene sull'essere) che l'essere non spiega se stesso, patisce diacronia: il suo darsi sensato resta sospeso ad altro. Il bene invece non � tale perch� garantito dall'essere o perch� garantisce l'essere; se mai detta condizioni, qualifica e mette in questione l'essere a partire da una �gloria� di gratuit� e da un diritto di provocazione che sembrano godere di una sovrana libert� di movimento. La scena del creare, quando viene illuminata dal primato del bene, rivela che �essere divinamente� coincide con il dare spazio ad altro senza chiudersi nel possesso soddisfatto e che esistere ex nihilo significa, per la creatura, godere di una particolarissima dipendenza che dona indipendenza. La creazione infatti inaugura l'avventura della �separazione�, intesa non come rottura di un rapporto, caduta, degenerazione, esilio ma come festa del molteplice a dispetto di ogni modello di unit� totalizzante.26 Si libera distanza, si consente la pluralit� degli unici, l'emergere originale di Volti, irriducibili a prodotto del cosmo o a strumento della storia. Questo dono che suscita autonomia e sottrae a schiavit� mondane, �, in modo eminente, dono del potere di donarsi: il risultato pi� grande nella creazione, il suo �miracolo�, � che da essa viene fuori un esistente �capace di ricevere una rivelazione, di apprendere che � creato e di mettersi in questione�, ovvero �un essere morale�.27

Nella creazione, dunque, si sprigiona la fecondit� di un gioco differenziale che lascia emergere una novit� indeducibile e insieme le offre una vocazione; gioco di una relazione per nulla soffocante che libera l'autonomia dell'altro mentre la invita e inquieta a dare il meglio di s�, ad essere essa stessa creativa, nella direzione del per-altro. La creatura riceve in dote una straordinaria attitudine a muoversi da s� che costituisce il frutto pi� mirabile di quel dono che la fa essere non grazie a se stessa. Dentro questo frutto resta iscritta una direzione vocazionale proposta alla libert� creata: un destino morale che invita il soggetto a non trasformare la separazione di cui beneficia in rivendicata autosufficienza, in geloso isolamento e poi in trampolino di lancio per imporre il suo arbitrio.

In tal modo il pensiero della creazione custodirebbe insieme il senso della �novit� assoluta dell'io� (unicit� per via di creazione) e il senso parimenti originario del �suo essere rimesso in questione� (unicit� per via di elezione) .28 Sarebbe cos� all'altezza della problematica che ha sempre attirato l'attenzione di Levinas: quali condizioni germinali e quali avventurose vicende accompagnano l'emergere di una vita soggettiva che si stacca dallo sfondo neutro e anonimo dell'il y a? Di questo tratta l'articolato percorso che prende avvio in Dall'esistenza all'esistente e giunge fino Altrimenti che essere attraverso Totalit� e Infinito. Lungo il quale, detto in estrema sintesi, vengono focalizzate le peripezie attraverso cui la medesimezza dell'io, che sorge resistendo alla totalit� e concentrandosi su se stessa, si svela via via gi� intaccata e in ultimo del tutto riconfigurata dalla relazione all'altro.29 Il soggetto nasce infatti nel segno dell' �interesse� che gli permette di sottrarsi all'impersonale e raccogliersi in un s�, incarnando nel �godimento� la concretezza di un primordiale fisiologico benedetto egoismo. Ma ben presto contraddizioni, ambiguit�, difficili ricerche di equilibrio tra indipendenza e dipendenza caratterizzano il faticoso maturare di un' �interiorit� separata la cui �porta sull'esterno� resta �ad un tempo aperta e chiusa�.30 Impegnata a prendere �dimora� nel mondo, essa viene colpita, gi� nel �godimento� come poi nel �lavoro�, da continui inviti a uscir fuori, secondo dinamiche che trasgrediscono il regime del �bisogno� onniassimilante e chiamano, in forza di un'altra intenzionalit�, quella del �desiderio�, alla relazione con Altri che libera dal soffocante egocentrismo.31 Si arriver� poi, de-strutturando qualunque legge ontologica che salda ostinatamente l'io a se stesso (svelando cio� un Altrimenti che essere), a scorgere nel dis-inter-esse, nel dinamismo alteritario l'anima pi� recondita dell'identit� soggettiva.

Dunque, solo la cifra della creazione sembra dare conto della tensione di fondo che innerva l'esistenza soggettivia: quella tra la donata autonomia che consente il costituirsi separato dell'esistente e l'appello etico che scuote l'arbitrio e l'arroganza da cui l'io resta tentato. Levinas pronuncia pi� volte un inno di lode riguardo la condizione creaturale come stupefacente trovarsi chez soi di un essere che non � causa sui: c' est une grande gloire pour Dieu que d'avoir cr�� un etre capable de le chercher ou de l'entendre de loin, � partir de la s�paration, a partir de l'ath�isme32. In Totalit� e infinito si parla addirittura di un �ateismo naturale� della creatura, che precede ogni affermazione o negazione di Dio e fa tutt'uno con la capacit� di auto-consistere stando immersi nella soddisfazione della sensibilit�.33 Come se il prezzo necessario per la separatezza fosse dapprincipio il vivere �orfani di nascita�, sordi a richiami di infinito e di alterit� interumana. Ma come si potrebbe avvertire, partendo da lontano, il richiamo dell'altro se la separazione fosse prigioniera di un soddisfatto autoappagamento? Quel dono creativo grazie a cui la creatura si costituisce naturalmente atea, pone la basi per la contestazione di ogni irrigidito ateismo. Ogni chiudersi in s� dell'esistente viene ferito dalla forza di provocazione che ha la desiderabilit� del bene. La stessa indipendenza si rivela allora �solitudine� sin dall'origine votata al rapporto con l'alterit�: condizione di autonomia ordinata alla dedizione, come si trattasse di possedere una ricchezza per potersene felicemente spogliare.34

Nella tensione tra una separatezza che si avvita su se stessa e una separatezza offerta all'esteriorit�, viene a stagliarsi la �straordinaria ambiguit� dell'Io: al tempo stesso il punto in cui l'essere e lo sforzo per essere si contraggono in ipseit� contorta su se stessa, primordiale e autarchica e il punto in cui � possibile la strana abolizione o sospensione di questa urgenza d'esistere e un'abnegazione nella preoccupazione degli affari degli altri�.35

Come � noto, nel passaggio da Totalit� e Infinito a Altrimenti che essere l'ontologia della separazione, che racconta il movimento di correlazione e di distanza tra il Medesimo e l'Altro, cede il passo alla delucidazione oltre-ontologica della identit� soggettiva come incondizionata apertura ad Altri. Dalla passivit� creaturale legata al dono che consente autonomia si passa alla passivit� della responsabilit� legata ad una chiamata che travolge la �gloriosa spontaneit� del vivente�. In questa direzione di marcia Levinas si � progressivamente lanciato puntando a disfare l'epopea dell'essere e lasciare corso ad una sorta di epopea della passivit� inassumibile.36 Al tempo ricucito nel nome della coscienza quale �presenza a s� attraverso la differenza� si contrappone il tempo lacerato nel nome dell'apertura all'infinito. Alla prepotente ostinazione del conatus essendi si oppone un esistere votato ad altri che conduce a spogliarsi di ogni diritto. Si assiste all'inasprimento di quella che potremmo definire la gettatezza levinasiana, dai tratti ben diversi rispetto alla Geworfenheit del Dasein heideggeriano. Non riguarda infatti il non sentirsi a casa propria, angosciati dal nullo fondamento, avendo da assumere questo nullo fondamento.37 Si tratta piuttosto del fatto originario che �in nessun momento posso essere tranquillamente per me�.38 Qui lo spiazzamento non pu� diventare oggetto di assunzione e occasione di riscatto in vista della cura del proprio esserci: la diacronia della responsabilit� infatti riguarda una ferita che non si rimargina, secondo un compito di uscita da s� che sfugge ad ogni logica di adempimento e risarcimento, e anzi aumenta il suo prezzo quanto pi� si dispiega la prossimit�. Questa dinamica di un servizio che vede accrescere senza termine il suo peso � orientata dalla logica del bene. La quale, per Levinas, opera nel modo seguente: mentre rinnova nel soggetto il desiderio di infinito non gli garantisce mai approdo, piuttosto ancora e sempre lo piega e invia verso quel prossimo che pure resta per tanti versi �ingombrante� e �indesiderabile�.39 Proprio nell'intento di lasciar campo ad un �altrimenti che essere� del tutto svincolato dalla logica del conatus essendi, Levinas delinea il destino etico del soggetto in chiave di parossismo della responsabilit�. Affinch� l'io come volere, come mira intenzionale, non rinasca dalla sue ceneri, deve aver luogo un indefinito d�chirement du M�me par l'Autre. L'intera verit� del soggetto viene definita dalla sua condizione di �ostaggio� dell'altro; partendo dalla stessa natura della sensibilit� che vede il corpo costituirsi quale vulnerabilit� e offerta all'oltraggio, proseguendo verso la �sostituzione� e l'�espiazione� mediante cui si � chiamati a caricarsi addosso la responsabilit� per le responsabilit� di altri, fino a giungere ad accusarsi responsabili di tutto e pi� di tutti, �sotto il peso dell'universo�.40 La preoccupazione assillante di scongiurare ogni rivincita dell'attivit� e delle aspettative della coscienza, porta Levinas a far precipitare l'io lungo la china di una destituzione a fondo perduto. Il soggetto subisce una abnegazione che lo reidentifica in modo sempre pi� esasperatamente diacronico, come se lo stare in balia di Altri e l'offrirsi per Altri non gli lasciasse pi� posto e tempo per ritrovarsi. E proprio in questo vortice di una passivit� che si infinitizza �all'indietro� viene a espressione e si lascia testimoniare la gloria dell'Infinito, lo splendore del bene .41

4. L'anteriorit� dell'accoglienza e della promessa ^

Dopo aver ripreso le coordinate che danno rilievo, nel discorso levinasiano, al tempo misurato dalla responsabilit�, vorrei tentare qualche ipotesi di approfondimento critico. Sia la corrispondenza fatta valere da Levinas tra passivit� creaturale e passivit� responsabile, sia gli aspetti che quest'ultima viene a prendere in chiave di spoliazione incondizionata dell'io, spingono a formulare domande che si ispirano, in certo modo, a una nota frase di Agostino: Deus, qui creavit te sine te, non serbabit te sine te. Dove vanno messi in evidenza due possibili significati del non senza te: non sopprimendo la tua responsabile libert� di soggetto e non permettendo che il tuo perderti-offrirti per la causa del bene escluda il tuo ritrovarti. Ecco allora gli interrogativi da porre: in che modo, secondo quale tempo la convocazione etica di cui parla Levinas dialoga con la libert� umana? E poi, che ne � del soggetto votato all'�assoluto di un'esigenza� senza promesse n� soccorso?42 C'� un tempo del suo ritrovarsi?

Quanto al primo interrogativo, occorre tenere conto che per Levinas il rapporto tra appello responsabilizzante e libert� si instaura secondo due condizioni che troviamo emblematicamente condensate in questa frase: �se nessuno � volontariamente buono, nessuno � schiavo del bene�.43 Da un lato, infatti, �il bene mi ha scelto prima che io lo scelga�.44 La responsabilit� investe e avvolge la mia libert�, la mette in tensione: non posso far dipendere la responsabilit� dalla libert�. Quest'ultima �non � libera di ignorare il mondo sensato in cui l'ha introdotta il volto d'altri�; �io non posso, senza mancanza (...) nascondermi al volto del prossimo�.45 Sembra qui rilevabile una sorta di elenchos legato all'intrigo etico: se nego praticamente la responsabilit� (indifferenza, prepotenza, distrazione) ecco che questa negazione conferma il mio essere responsabile, perch� si d� gi� come cattiva coscienza.

D'altro lato, tuttavia, questa dinamica eteronoma, che vede nascere la libert� gi� preceduta dall'iniziativa del bene, non produce alienazione, non rende schiavi. Tutto dipende dalla forza autorevole e discreta con cui il bene propone il suo valere per se stesso. Pur non aspettando di essere scelto dalla libert�, e anzi mettendo gi� sotto giudizio ogni piega narcisistica che la libert� potrebbe prendere, con tutto ci� -- qui si mostra la sua eccellenza -- il bene non coarta, non sopprime lo slancio della libert�.46

Ma le affermazioni levinasiane appena riportate non dicono molto su come avvenga il dialogo tra iniziativa del bene e libert� del soggetto. E sembra anzi che, nel cuore stesso della chiamata alla responsabilit�, si delinei una seria difficolt� che attraversa proprio i suoi tratti temporali. Infatti, se la gratuit� a cui il bene convoca non pu� essere estorta, parrebbe necessario che la diacronia della responsabilit� non sopprima ma anzi offra un possibile tempo di sincronia tra il soggetto e la causa del bene. Ma rinasce un dubbio: � possibile consentire attivamente alla causa del bene, senza che questo lampo di presenza a se stessi, questo riprendersi nella luce abbagliante del passato irrecuperabile e del futuro indisponibile, non implichi un rigurgito di interesse e di calcolo? L'�eccomi� levinasiano (di chiara impronta biblica) per dispiegarsi come passivit� inassumibile sembra esigere che siano bruciati senza residui, nell'immediatezza della convocazione subita, ogni partecipazione esplicita del mettersi a disposizione e ogni �salario della buona coscienza�. Come se in tale �eccomi� io arrivassi sempre dopo che il bene mi ha lavorato, fino al punto che il mio dire non ha pi� niente di mio: � pura esposizione che il bene fa di me all'altro.47 Ma intanto, qui sta il punto su cui sembra infrangersi ogni concezione immediatistica della passivit� etica, il bene che mi sceglie prima che io lo possa scegliere deve darmi il tempo di essere grato. Solo la gratitudine infatti abilita alla gratuit�, scongiurando che la causa del bene si trasformi o in potere vantato dal soggetto o in potere da questi meramente subito. Non si pu�, in altri termini, entrare nella gratuit� n� facendosene presuntuosamente padroni, n� come vittime di un'espropriazione.

La gratitudine � quel modo affatto speciale di ricevere il dono che entra in sintonia con la logica del dono stesso: se lo lascia donare senza prenderne possesso, non permette di usarlo come una base da cui sporgere rivendicando pretese. Ora, affinch� il soggetto si lasci accogliere nell'ordine della gratuit�, facendosi contagiare da esso, deve essergli dato il tempo, e qui ricorriamo provocatoriamente a parole da cui Levinas prende sempre nettamente le distanze, di compiacersi del bene e di partecipare alla gloria del bene. Dove � importante notare che il compiacimento della genuina gratitudine non comporta affatto risucchi egocentrici, ma ha una caratterizzazione spiccatamente eterocentrica: esulta per una generosit� da cui il soggetto si avverte sorretto e misurato e interpellato senza poterla o volerla proporzionare a s�. Nella linea del poter essere grati si darebbe una sincronia tra ordine del bene e libero s� del soggetto che viene mantenuta e resa possibile all'interno della diacronia, senza smentire o circoscrivere questa.

L'ipotesi critica deve fare un passo ulteriore. Se la gratitudine � condizione intrinseca per accedere alla logica del bene e se l'esser grati richiede una presenza al bene (sincronia) concessa all'io all'interno della diacronia (provenienza e futuro del bene non riducibili alla presenza), tutto questo invita a re-interpretare l'evento della responsabilit� in maniera da esplicitare adeguatamente, prendendo avvio da Levinas ma insieme discutendo Levinas, il rapporto tra bene come accoglienza e bene come provocazione. Il passo ulteriore sarebbe questo: scorgere nella diacronia dell'accoglienza ci� che fonda la diacronia della provocazione. Affermare che soltanto il prima indisponibile della grazia e della promessa pu� dare senso al tempo che mi mette in questione. Ci� non implicherebbe certo elevare a criterio del bene un io che chiede garanzie o esige consolazioni finali. Aprirebbe anzi il varco all'unico modo di evitare che l'io nel suo rapporto col bene torni a chiudersi in un sistema di auto-riferimento, facendosi orgogliosamente forte della sua abnegazione e, rovescio della medaglia, restando poi schiacciato dal peso di una solitaria responsabilit� incondizionata.

Bisogna in altri termini considerare se non sia proprio la passivit� del lasciarsi accogliere e soccorrere, passivit� della gratitudine, a consentire il reale accesso al disinteresse, e questo perch� solo cos� il soggetto viene liberato sia da ansie di sicurezza che lo porterebbero a voler utilizzare egoisticamente il bene, sia da una eroica volont� di martirio che sembra paradossalmente riproporre l'inflazione dell'io (impegnato a sopportare in terribile solitudine il carico morale dell'universo). Non si tratta di rendere il bene funzionale al soggetto ma di impedire che l'io oscilli tra la posizione di semplice strumento di una chiamata che lo utilizza e dissolve, e il ruolo ambiguo di protagonista dello scenario etico mediante la sua abnegazione. Se il tempo della responsabilit� iscrive la sua diacronia nella pi� originaria diacronia che rende il tempo grazia e promessa, si pu� forse rendere giustizia della relativa sincronia tra iniziativa del bene e libert� del soggetto, di cui si alimenta il grato corrispondere all'appello etico. Proprio il tempo come dono, liberando al suo interno una sincronia per il soggetto, mi ha gi� dato e mi dar� il tempo di riconoscere che l'accoglienza (da parte del bene) � il segreto di ogni inquietamento che mi responsabilizza. Se si cancella questo primato della diacronia dell'accoglienza sulla diacronia del comando etico, sembra ricomparire il pericolo che l'evento della responsabilit� lasci il soggetto conteso tra due immediatezze: la ingiusta presunzione di autosufficienza e l'ingiusta capitolazione all'uso-sacrificio di se stesso.

L'ipotesi proposta implica che per il soggetto esperienza del bene significhi stupore dell'esser accolto, gratitudine e abbandono fiducioso, prima che trauma dell'esser messo in questione (thauma prima che trauma) .48 Ad un'iniziativa del bene che fosse accusa allo stesso titolo che accoglienza, Giobbe avrebbe ragione di gridare: mi hai creato per rinfacciarmi che esisto? che diritto hai di usarmi per mettermi alla prova?

Rispetto al discorso levinasiano, occorre chiedersi se lo strano diritto che il bene si prende di mettere l'io in questione non sia radicato in un dono che ha gi� accolto il soggetto e non lo abbandoner� mai. E lo invita, anzi, a riconoscersi inquietato solo perch� anzitutto amato. Verso Altri a cui dire eccomi non sono forse rimandato sempre a partire dall'emozione originaria che Altri mi ha accolto? Il brivido di responsabilit� che il bene mi incute non ha sempre alle spalle il brivido di gratitudine con cui mi risveglio al volto di chi si � preso cura di me? � possibile che l'autorit� infinita del bene mi visiti e mi riveli il suo senso, se il mistero dell'esser accolti non getta luce sull'enigma dell'essere inquietati? Se la traccia dell'Illeit� non significa ospitalit� prima, attraverso e oltre ogni prova?

La fenomenologia levinasiana della responsabilit� potrebbe qui armonizzarsi con altri sentieri di scavo fenomenologico dei sentimenti originari, laddove la gettatezza si lascia esperire come stupore d'esserci, come vissuto implicitamente pervaso di riconoscenza e fiducia.49

Alla radice dell'affettivit� emergerebbe il sentirsi affidati a un dono che � anteriore ad ogni possibile prestazione e va al di l� di ogni possibile merito. Diacronia del tempo come mistero di accoglienza e di promessa che precede la chiamata a rispondere, dando senso e tono a quest'ultima. L'�assoluto dell'esigenza� varrebbe in questa linea solo a partire dal dono e in funzione di una crescita dentro il dono: � un rilancio di accoglienza che chiama alla dedizione. Tutto questo, e niente meno di questo, sarebbe incluso nell'evento quotidiano e straordinario della responsabilit�.

Ma accetterebbe Levinas l'idea che il trovarsi e sentirsi accolti dal bene � in certo modo condizione pre-originale e direzione finale di ogni trovarsi chiamati in causa? Probabilmente egli osserverebbe che proprio l'inquietamento che mi assegna ad Altri � dono e visitazione; che ogni compiacimento � fuori gioco nell'etica; che la gratitudine si esprime e si testimonia come dedizione; che il bene declina in responsabilit� il desiderio che suscita, e converte ogni nostalgia di accoglienza in sollecitazione ad accogliere. L'Illeit� �non mi colma di bene, ma mi obbliga alla bont�, migliore del bene da ricevere�.50 Sono amato dal bene non grazie ad un dono che colma il mio desiderio, ma nell'ingiunzione che patisco di una consumazione a fondo perduto per il bene. Questo � �meglio�: ma un meglio che non d� il tempo di compiacersi delle ragioni del bene e di essere ammessi al trionfo del bene?

Per molti versi sembra che il soggetto levinasiano non faccia mai esperienza di essere originariamente donato, e sempre di nuovo restituito, a se stesso da un amore che lo circonda.51 Sembra non avere mai il tempo di ritrovarsi affidato ad un mistero di accoglienza: o � naturalmente ateo, vivendo il dono di autonomia senza riconoscerne l'origine, quasi indifferente alla traccia dell'infinito e portato anzi a chiudersi nell'egoismo, o � calamitato verso un desiderabile che scava distanza tra s� e il desiderante, e consegna l'io ad Altri fino all'assoggettamento, alla sostituzione, all'espiazione. O vive il tempo come separatezza tentata dall'autosufficienza, o vive il tempo come perdita di s� senza ritorno. O vive il "prima di tutto" ontologico fatto di oblio e di tradimento dell'appello etico, o vive il "prima di tutto" etico che comporta il venire traumaticamente accusati di abusivismo ontologico. Non � un caso che Levinas citi l'adikia di cui parla il celebre detto di Anassimandro, per interpretare il conatus essendi del soggetto come ingiusto soggiorno nella presenza che merita di essere messo in crisi.52

C'� sempre, invero, da non tralasciare un certo frattempo levinasiano in cui il consistere autonomo del soggetto, non ancora esplicitamente riducibile a egoismo, si rivela predisposizione alla responsabilit� e riguarda una buona solitudine che pu� essere convertita, �rovesciata come un guanto�, in abnegazione senza per questo dissolversi. Resta difficile per� capire se il soggetto di Levinas, teso tra due immediatezze, quella di un'identit� immediatamente atea e quella di un'identit� immediatamente etica, conosca davvero quell'appropriante mediazione che � il ritrovarsi lasciandosi accogliere dalla gratuit� e abbandonandosi fiduciosamente ad essa.

La causa del bene pu� animare l'io solo destituendolo; se non ch� l'io sembra ridursi ad offrire, suo malgrado, una continuit� di cui non � mai stato padrone (la sua �ricorrenza�) perch� sia plasmata e resa unicit� dal comando che la trascina fino alla morte per l'altro. Il �meglio� di cui parla Levinas riguarderebbe allora, come la dike di Anassimandro, l'ordine inesorabile che impone di patire l'annullamento per lasciar posto ad altro? L'esser toccati dalla responsabilit� equivarrebbe a pagare il fio della separatezza, lasciandosi immolare sull'altare di un'armonia che va ristabilita? L'ordine del bene prescrive che vivere di distanza, di apertura all'altro, di gratuit� richieda il morire? Si delinea qui il senso sublime della vocazione morale o si rischia la perversione sacrificale dell'etica?

5. C'�, nel segreto etico del tempo, un senso pi� forte della morte? ^

Si � abbozzata l'ipotesi che la levinasiana diacronia della responsabilit� non lasci giusto spazio ad un tempo di raccordo tra iniziativa del bene e avventura del soggetto che possa consentire a quest'ultimo di entrare per via di riconoscenza nella dimensione della gratuit�. E ci� dipenderebbe in modo rilevante dal fatto che Levinas non riporta il tempo della prova al tempo come dono e come promessa. Ne viene fuori che la provocazione alla responsabilit� non permette all'io di sentirsi accolto e salvato, ovvero di affidarsi alla causa del bene senza rimanere intrappolato nella alternativa tra un attaccamento egocentrico all'essere e una doverosit� sacrificale. Naturalmente questa ipotesi interpretativa non intende per nulla agguantare la complessit� del discorso levinasiano o appiattirne la ricchezza, se mai vorrebbe tenersi fedele a intuizioni portanti che lo caratterizzano, mettendo in discussione tesi che sembrano frenarlo o metterlo contro se stesso. A tal fine � ora il caso di prestare attenzione alle densissime pagine che egli ha dedicato al nesso tra evento della responsabilit� e mistero della morte. Per capire meglio come per Levinas qui si riveli nella sua massima incisivit� il nodo etico che stringe la temporalit� esistenziale.

Nei corsi levinasiani tenuti nell'ultimo anno (75/76) di insegnamento alla Sorbona, la morte viene pensata come �estremo della pazienza del tempo�.53 Procura al soggetto un urto con l'alterit� pi� passivo di qualunque trauma. Niente come il farsi avanti morte insegna che nel tempo si consuma qualcosa di irriducibile ad esperienza intenzionale, ovvero che il durare e l'invecchiare non sono dominati ma patiti dalla coscienza. In chiave analoga, della morte si pu� dire che � remissione per eccellenza alla sorpresa del senso. Mediante un pur point d'interrogation senza risposta che determina lo scacco di ogni pretesa di possesso. E invita a tener conto che l'autentico domandare � �pi� pensante� di ogni soddisfatta risposta; che ricerca, interrogativo, desiderio non sono mere espressioni di carenza e imperfezione, ma forme di coltivazione della nostra pi� preziosa attitudine: mantenerci rivolti all'inafferrabile, all'insostenibile.54

Sia il rapporto con la mia morte e sia il rapporto con la morte d'altri mettono in moto una totale d�f�rence � l'inconnu. La potenza con cui l'infinito affetta e intacca il tempo lascia qui senza parole e senza argomenti. Proprio in nome di questa lezione, che invita a lasciarsi misurare dall'ignoto, Levinas conduce una dura polemica nei confronti della maniera heideggeriana di declinare l'essere-alla-morte. Perch� ritiene che considerare la morte quale possibilit� �pi� propria� (certa, indeterminata, sovrastante ogni possibilit�) che il Dasein � chiamato ad assumere nella direzione di un esistere �autentico� e �totale�,55 implichi continuare a far leva sul potere progettuale soggettivo. In Sein und Zeit si parla di assumere-anticipare la morte come �possibilit� dell'impossibilit�,56 ma in tal modo l'urto con l'impossibilit� cadrebbe ancora dentro il gioco della possibilit�. Il tenersi nel nulla che il Dasein vive, come spaesante apertura ontologica, rimarrebbe definito in funzione di un radicale attaccamento al proprio esserci. Resta tutto legato all'ansia con cui il soggetto in ultima analisi si preoccupa del suo essere minacciato dal nulla. Come se la lezione dell'assenza servisse solo a rilanciare la volont� di una sicura gestione della presenza.

Lasciando da parte la legittimit� di una simile interpretazione del Sein-zum-Tode heideggeriano, interessa mettere in risalto ci� che anzitutto Levinas intende tener fermo: la morte non � possibilit� (di gestione) della impossibilit�; essa � accusa di impossibilit� per ogni potere e ogni assumere, � dichiarazione di nullit� per ogni pretesa Sinngebung egologica. Si rivela decisivo, rispetto alla questione della morte, sganciarsi dal criterio di una saldatura tra essere e senso dominata dal conatus essendi. Criterio che resterebbe dominante quando si tende a riassorbire l'esperienza dello scacco dentro il campo del potere progettuale, ma anche quando il mistero della morte viene fronteggiato facendo ricorso all'idea della sopravvivenza (�dogmatismo positivo dell'immortalit� dell'anima�) o sancendo un nichilistico trionfo dell'insensato (�dogmatismo inverso�) .57 La lezione di alterit� che la morte impartisce e in cui si trova custodita un'offerta di senso messa alla prova del "senza senso", va liberata dalle false attese o da frustranti delusioni che hanno sempre come riferimento primario il tornaconto ontologico. Va legata invece, a filo doppio, a ci� che la diacronia del tempo porta impresso come suo sigillo: la responsabilit� per Altri.

Gi� in Il Tempo e l'Altro come poi in Totalit� e Infinito, rapporto con la morte e relazione etica rivelano qualcosa di profondamente comune: in entrambi i casi entra in gioco non una generica limitazione del potere, ma l'inversione, la radicale sconfessione della dinamica del potere.58 Si � afferrati da ci� che non si pu� assumere (come quando si � in preda ad una sofferenza insopportabile). � notevole che si discuta, a livello interpretativo, se �l'iniziazione del soggetto all'alterit� in Levinas riguardi prioritariamente l'apertura all'ignoto della morte o l'apertura al Volto di Altri .59 In ogni caso quel che pi� conta, per il filosofo ebreo, � considerare la relazione interpersonale come istituzione di legami �attraverso i quali la morte non perde il suo dardo ma assume senso�.60 La morte infatti ci consegnerebbe all'assurdo se con essa tempo e relazioni venissero semplicemente distrutti.

Si tratta, invece, non tanto di �comprendere il tempo a partire dalla morte�, bens� di �comprendere la morte a partire dal tempo�.61 D'altronde essere mortali, come viene ribadito in Totalit� e Infinito, comporta che, andando verso la morte, si abbia ancora tempo.62 Il tempo per vivere la stessa condizione mortale come arcana intensificazione delle relazioni interpersonali. Nell'uno-per-l'altro, infatti, si rende attuale una �bont� cui la morte non pu� togliere il suo senso�.63 Anzi, � come se la morte, riportata la contesto intersoggettivo, permettesse che fiorisca al massimo grado il prodigio della solidariet� e della gratuit�, l'umano quale altrimenti che attaccamento all'essere.

In diversi modi la mortalit� gioca al servizio della responsabilit� e viene con ci� riscattata al senso. Ricostruendo un filo rosso lungo i passi levinasiani, si possono distinguere e collegare tre dimensioni attraverso le quali, in forma progressivamente pi� significativa e coordinata, si va manifestando la densit� etica del morire: il rapporto con la propria mortalit�, il rapporto con la mortalit� dell'altro, la chiamata a morire per l'altro.

Ad un primo stadio, avvertire la propria mortalit� sollecita a liberarsi da un ossessivo ripiegamento sul proprio essere che l'incombenza certa della fine rende tragicomico (Levinas, a tal proposito ama citare il racconto di Tolstoj La morte di Iv�n Il�c) .64 La morte qui si impone come lezione di impotenza che travolge gli sciocchi calcoli della volont� egocentrica. Ma questa lezione non avrebbe alcun risvolto etico positivo se in essa gi� non tralucesse l'appello che la mortalit� d'Altri mi rivolge. La mortalit� dell'altro � come il punto focale che attira verso s� la responsabilit�. �Non uccidere� � la parola muta comandata dal Volto. Essa, ascoltata fino in fondo, vuol dire, nelle tante modalit� in cui riecheggia, �non esiliare�, non mettere da parte, non fare finta che l'altro non esiste; e poi, in forma di ultima ingiunzione-preghiera, �non lasciare l'altro morire da solo�.65 L'urgenza e l'irrecusabilit� della convocazione etica sembra, in tutti i suoi livelli di manifestazione, pregna di questo riferimento alla mortalit� dell'altro che invoca cura e dedizione. � impregnata di �timore per tutto ci� che il mio esistere, nonostante l'innocenza delle sue intenzioni, rischia di commettere di violenza e di usurpazione�.66

A tale proposito, la polemica nei confronti dell'essere-per-la-morte di Heidegger si arricchisce di un ulteriore motivo. Levinas rimprovera al filosofo tedesco di aver dato spazio nelle sue analisi quasi esclusivamente al rapporto inalienabile e singolarizzante che ciascuno ha con il proprio morire. La morte d'altri viene ridotta prevalentemente a �esperienza di seconda mano�, che diviene occasione per l'esistere inautentico di constatare banalmente che tutti prima o poi �si muore�. Nel discorso levinasiano, invece, proprio la dimensione coesistenziale del morire balza in primo piano e rivela una profondit� abissale. Le differenti solitudini dei mortali sono cos� legate che il destino di finitezza dell'altro gi� sempre mi convoca e interpella. L'�esperienza della morte non mia � esperienza della morte di qualcuno� i cui �gesti� erano �segni rivolti a me�, qualcuno che mi era affidato: la morte d'altri �mi intacca nella mia stessa identit� di io responsabile�.67 Levinas arriva a dire che ogni morte non � solo scandalo inconsolabile, ma in qualche modo � anche un omicidio rispetto a cui chi resta sconta la dolorosa responsabilit� del sopravvissuto.

L'ignoto della morte parla dunque della mia fragilit�, ridimensionando la boria del conatus essendi, e parla della fragilit� di Altri di cui sono chiamato a rispondere fino e oltre la sua dipartita. Ma ancora, nella linea di questa imprescindibile solidariet�, fa emergere il terzo e pi� azzardato significato della mortalit�: la possibilit� del sacrificio. La chiamata alla prossimit� �, nella sua verit� pi� esigente, chiamata a morire per l'altro. Perch� all'intensit� dell'appello che proviene dalla mortalit� dell'altro pu� corrispondere solo l'intensit� di una dedizione che impegna senza riserve la mia mortalit�. Solo questa strada renderebbe possibile �vincere la morte�, contestarne il �non senso�, �andare al di l� della morte�. C'� un tesoro di senso che la responsabilit� intercetta servendosi della condizione mortale come risorsa che libera dal culto del radicamento ontologico e consente una totale disponibilit� all'altro. La morte si chiude e ci chiude nel non senso se il senso � tutto e solo misurato dall'attaccamento al continuum vitale. Ma se il senso � legato all'apertura oblativa, al per-altro, la mortalit� diventa la grande alleata della gratuit� (che � la logica del bene), le permette infatti di prodursi al massimo grado come offerta della vita.

6. Il bene ostaggio del sacrificio ^

Il legame determinante tra tensione morale e morte, che sta a cuore a Levinas, viene in modo esemplare scolpito nel seguente passo: la relazione etica contiene �la significanza stessa di ogni significato, pi� forte della morte cio� degna del supremo sacrificio che significa cos� la non morte della morte�.68 In questa densa e tormentata frase si trovano racchiusi aspetti del discorso levinasiano degni di un accurato scandaglio critico. In quanto sembrano qui acuirsi le difficolt� di fondo prima menzionate in merito al rapporto il Bene come dono che presiede al rapporto interumano e il Bene come provocazione che esige sacrificio. Si nota infatti come, per Levinas, la relazione etica nel suo mostrarsi pi� forte della morte non pone in serio dubbio il potere negativo che la morte ha rispetto all'essere del soggetto, anzi sembra confermare una certa insuperabilit� di questo potere mentre lo mette al servizio di una vigenza di senso che non resterebbe annientata dalla morte tanto quanto non sarebbe ancorata al conatus essendi. Cos�, �vincere la morte non � un problema di vita eterna�, vuol dire piuttosto �avere con l'alterit� dell'evento una relazione che deve essere ancora personale� e questa personalizzazione si attua in termini di sacrificio: �andare al di l� della propria morte significa sacrificarsi�.69 La �non morte della morte� � insomma una vittoria del bene ma non dell'essere, anzi una vittoria del bene che avrebbe come complice la capacit� negativa della morte di tenere l'essere sotto scacco.

Se le cose stanno in tal modo, sorge il dubbio che, in nome dello splendore-etico del sacrificio, si crei un legame compromettente e dagli effetti incontrollabili tra istanza del bene e potere della morte. Si consideri ad esempio quanto dice Levinas a chiusura della prima parte delle lezioni su Dio, la morte e il tempo. Contro il pericolo che l'esser-per-l'altro torni a immiserirsi �nelle convenzioni dei rapporti codificati�, ecco che il residuo ineliminabile di �assurdit� e di �vanit� connesso alla �mia condanna a morte� fa da condizione che rende possibile �la gratuit� della mia responsabilit� per altri�.70 Qui � dichiarato esplicitamente che la gratuit� della responsabilit� non solo deve liberarsi dall'ansia di sicurezze ontologiche, da ogni interessata aspettativa riguardo al premio di una vita immortale, ma addirittura ha bisogno che sull'esistenza pesi un'ipoteca di insensatezza. Per controbilanciare il ruolo che tornano ad avere, negli atteggiamenti intersoggettivi, l'abitudine ed il calcolo, occorre che l'impegno etico rinnovi di continuo il suo slancio disinteressato prendendo spunto dall'assurdit� della condanna a morte che pende sugli umani. Non a caso, nel delineare un senso dell'etica "pi� forte della morte", Levinas aggiunge subito che tale senso va riconosciuto come "degno del supremo sacrificio". Questo forse significa che l'istanza del bene, l'infinito etico, la gratuit� della dedizione possono risplendere nel loro valore solo se in qualche modo consacrano o addirittura richiedono una forma di finitismo ontologico assiologicamente provvidenziale?

Per molti versi la salvaguardia levinasiana della tensione diacronica della responsabilit� e del carattere disinteressato dell'impegno etico, potrebbe lasciare impregiudicata la prospettiva misteriosa di un'accoglienza ultima che attende il soggetto chiamato a perdere se stesso. Di certo il soggetto non pu� entrare nella dimensione della gratuit� se fa dell'attesa di una ricompensa la ragione della sua fedelt� al bene; ma questo non dovrebbe di necessit� comportare che le ragioni originarie del bene (le risorse proprie dell'infinito) esigano dal soggetto chiamato alla responsabilit� la rinuncia ad ogni chance di salvezza. Quando Levinas dedica a Kant alcune lezioni di Dio, la morte e il tempo, tocca proprio quei punti dell'etica kantiana (ripensati contro Heidegger) che tengono viva, in modo razionalmente accreditabile, una prospettiva di speranza riguardo ad un destino di immortalit� che non ricalca il mero sopravvivere del conatus essendi.71 L'�attesa senza mira d'atteso� che qualifica questa apertura del soggetto all'infinito del bene, sembra implicare una ineliminabile tensione teleologica che si purifica da ogni presunzione di possesso intenzionale e da ogni volere interessato. Non appare chiaro, per�, se in queste pagine levinasiane, tra le pochissime che menzionano la speranza dell'immortalit� senza liquidarla come proiezione del conatus egoistico, l'intento sia solo quello di cogliere movenze interne al discorso kantiano o sia anche quello di valorizzare un modo razionale di attingere orizzonti ontologici e teleologici dischiusi dall'intrigo etico.72 Di fatto in tanti luoghi Levinas pone, come condizione dell'atteggiamento responsabile, la negazione recisa ed esplicita di ogni possibile contemporaneit� del soggetto al proprio fine. Il tempo della responsabilit� esclude per il soggetto un tempo della promessa che non sia gi� anticipatamente compiuto nel lasciarsi consumare e mettere da parte dal bene: �Il servizio senza promesse� sarebbe �l'unico a meritare -- e anche a compiere -- le promesse�.73

L'idea levinasiana dell' �amore�, ovvero della ispirazione di cui si nutre la responsabilit�, implica che il �meno� del soggetto sia �devastato� dal �pi�� dell'alterit� secondo una logica che funziona �aggirando la teleologia, distruggendo il buon esito e la felicit� della fine�.74 Il desiderante � trascinato dal desiderabile, ma non pu� aver tempo n� di compiacersi n� di sperare salvezza, perch� questo vorrebbe dire compromettere il senso del bene. Da ci� il rapporto complesso tra convocazione etica, futuro, morte. Nella responsabilit� verso altri, che ordina-supplica di non essere lasciato solo a morire, si trova per Levinas una significazione imperativa del futuro che vale �dopo e nonostante la mia morte�.75 Ma questo aspetto imperativo e responsabilizzante del futuro, �ordine che sarebbe parola di Dio� e delinea il tempo come �devozione� o come �ad-Dio�, non prevede per l'io la possibilit� di ritrovarsi accolto da quel bene che lo supera, lo lascia �senza soccorso e senza promesse�. C'� senso al di l� della mia morte, c'� avvenire, ma senza di me. L'ad-Dio del tempo per Levinas non contempla finalit� n� escatologia per il soggetto responsabile: l'ordine del bene si serve della �mia morte per nulla� per rendere possibile �la gratuit� della mia responsabilit� per altri�. Lo stesso rischio incombente che tutto sia vano � da considerarsi come un bel rischio che favorisce la sincerit� del donarsi, lo slancio senza ritorno dell'abnegazione.

Dalla rinuncia ad anticipare in maniera possessiva il futuro si passa, cos�, per inasprimento delle esigenze di gratuit�, all'obbligo di anticipare un futuro che escluda. Dall'idea kantiana secondo cui l'etica non ha bisogno di �conferme che potrebbero venirle dall'essere�76 e semmai, aggiungiamo citando Kant, ha bisogno che, grazie ad una provvidenziale sfasatura tra vocazione morale e poteri conoscitivi, �Dio e l'eternit�, nella loro tremenda maest� non stiano �continuamente davanti agli occhi�,77 si passa qui a un diverso regime. Il Dio che obbliga alla bont�, resta �trascendente fino all'assenza, fino alla possibile confusione con il brusio del c'� (il y a). Confusione in cui la sostituzione al prossimo guadagna in disinteressamento, in nobilt� -- e in cui la trascendenza dell'infinito si eleva in gloria�.78

Occorre chiedersi se in questa impostazione levinasiana non si annidi un rischio per nulla felice e fecondo, quello di subordinare il senso dell'etica ad una insuperabile legge sacrificale che da un lato costringe la ricchezza e l'autorevolezza del bene a restare definite dal bisogno di negare l'essere (secondo una paradossale forma di parassitismo ontologico), dall'altro diventa occasione per il soggetto di esercitare una ennesima pretesa di potere. Infatti, una logica della gratuit� che abbia nella condizione a perdere del soggetto la sua migliore alleata e nella �confusione� tra mistero e insensatezza la nobilitante garanzia della sua purezza, non ha altro orizzonte di riferimento che l'ostinato sforzo soggettivo di esistere, oscillante tra vana illusione e ingiusta pretesa, da sfruttare per farne materia di sacrificio. Il bene alimenterebbe se stesso offrendo-consumando il mio attaccamento all'essere in nome e in vista del vivere mortale di Altri. Un simile dispositivo rende poi inevitabile una domanda: perch� la fragilit� di Altri mi convoca cos� urgentemente e irrecusabilmente se in fondo ad essa albergherebbe solo (visto il deprezzamento levinasiano del piano ontologico) un attaccamento all'essere vano e tendenzialmente fuorviante come il mio attaccamento al conatus essendi? Se la morte rende tragicomico ogni affezionamento al bene della mia vita, non rende tragicomico anche l'impegno nei confronti del bene della vita altrui? Sembra che in ultima analisi il bene ontologico della vita, mia e dell'altro, valga solo come strumento perch� venga attuata abnegazione. Per se stessa vale e ha senso solo la gloria del bene, ma si tratta di una gloria che non genera e prefigura un essere meglio bens� un �meglio� o un �altrimenti� che essere, scontando per� in tutto questo il bisogno essenziale di produrre la continua consumazione del piano ontologico.

La sorte morale dei mortali parrebbe allora contenere in se stessa una strana miscela di relazione reverente ad un principio assoluto che sovrasta la contingenza e di fatale remissione alla caducit�: Levinas pi� volte accosta la meraviglia dell'amore interumano alla sua �vanit�.79 Amore pi� forte della morte e che d� senso alla morte nella speranza di un tempo altro? Oppure amore che ha bisogno della �assurdit� insuperabile della morte per farsi gratuito grazie ad essa, ma restando cosi indifeso rispetto al suo potere vanificante? Sembra che in Levinas non resti aperta la possibilit� che la morte colpisca solo l'ontologia dell'egoismo e non, tout court, l'ontologia dei soggetti. Ma la logica del bene, a questo punto, in maniera aporetica non dice solo accoglienza che fa spazio ad altro ma dice anche, allo stesso titolo, necessit� di escludere. Anzich� darsi come generosit� che spiega l'essere, il bene di cui parla Levinas, proprio mentre pretende di trascendere l'essere, rimane contaminato da un'inestinguibile sete sacrificale che lo incatena negativamente al piano, egoisticamente viziato, dell'essere.

Come gi� accennato, legare il bene in forma cos� definitiva alla necessit� del sacrificio comporta anche, malgrado le intenzioni, la riproposizione di un potere umano dinanzi alla morte. Quando Levinas sostiene che la �responsabilit� di un mortale per un mortale� � il luogo dove si d� la �risposta� a quella questione della morte che pure sfida ogni risposta,80 egli sembra tenere insieme, in modo discutibile, due ordini di discorso. Da un lato il legame intersoggettivo � pi� forte della morte -- in esso abita l'infinito, ad esso rinvia l'interrogare che la morte suscita -- perch� prende forza e senso da un'�ispirazione� del bene che non � effetto di una costruzione o di una gestione operata da parte degli uomini. L'intrigo etico rimanda costitutivamente all'Illeit� perch� l'assolutezza del bene che abita nel volto del prossimo non � invenzione umana. D'altra parte per� il mistero del bene, anzich� invitare i soggetti umani, tramite l'ignoto della morte, a lasciarsi reggere da un dono che trascende ogni potere dell'uomo e della morte, rimane commisurato all'orizzonte temporale-mortale dei rapporti intersoggettivi. La discrezione dell'Illeit� nell'ora della sofferenza e della morte diventa indicazione che non bisogna sperare in nulla che non sia il darsi compagnia tra mortali. Tutta la �deferenza verso l'ignoto� che la morte mia e dell'altro comporta, tutto lo scandalo, la domanda lacerante, il rischio del non senso hanno poi come �risposta�, non provvisoria ma definitiva, solo la prossimit� al mortale (non lasciare che altri muoia solo, la cattiva coscienza del sopravvissuto, il morire per l'altro). Il rapporto tra mortali allora si configura, a dispetto di ogni confessione di impotenza e di passivit�, come un tentativo o una tentazione di anticipare l'�al di l�, di possedere il futuro mediante lo stesso sacrificio. In diversi luoghi Levinas legge la prossimit� interumana come luogo che fungerebbe da riscontro ultimo, da compimento per la ricerca di senso. Cos�, ad esempio, egli afferma che �il solo senso della sofferenza � la sofferenza per la sofferenza di altri�; o, analogamente, che per la sofferenza pi� acuta e priva di speranza si delinea un �al di l� nel rapporto interumano�; o, ancora, che il �futuro della morte� viene assunto nel �presente dell'amore�.81

Non c'� qui una sorta di rivincita del potere umano dinanzi all'ignoto della morte e dinanzi all'enigma della sofferenza? Una rivincita del presente assumibile rispetto all'indisponibile donde e verso dove della convocazione etica? Mentre viene decretata, senza distinzioni, l'immoralit� di ogni escatologia, sembra che l'altruismo sacrificale pieghi ogni origine e direzione del bene, ogni diacronia della responsabilit�, dentro lo spazio del rapporto interumano intriso di finitezza. Con che esito? Sono gli uomini a garantire il senso vivendo-morendo l'uno per l'altro? O � la gloria del bene che afferma se stessa esigendo l'offerta a fondo perduto del materiale ontologico umano? In ogni caso o per via di una attiva assunzione umana del potere sacrificale, o per via di una soggezione dell'umano a questo stesso potere, viene consacrata una strana armonia tra autorit� trascendente del bene e mortalit� irredimibile della condizione finita.

Il mistero divino che secondo Levinas traluce nell'intrigo etico �, come gi� si ricordava, pieno di discrezione, si d� e si nasconde nel gioco relazionale interumano che diventa luogo di irruzione dell'infinito, della trascendenza, della parola di Dio. Questa discrezione, mentre ispira un obbligo esigente, richiederebbe un'�opera senza ricompensa� lasciando i mortali senza promesse di salvezza. Levinas � convinto che la �coscienza dell'obbligazione senza scappatoie rende pi� vicini a Dio, in modo certo pi� difficile, rispetto alla confidenza in una qualche teodicea�.82 Non cessando di riconoscersi nella fede ebraica, egli scorge nella Shoah la lezione pi� drammatica riguardo al fatto che l'attesa del buon esito non deve diventare la ragione di fedelt� alla legge.83 Ascoltando tale lezione, un atteggiamento religioso da adulti, temprato al fuoco di esperienze estreme, impara ad amare la legge pi� del Dio delle promesse.84 Dinanzi a questa prova, Levinas � talvolta portato a dire �io mi rivolto�, perch� la �kenosi dell'impotenza�, la sofferenza senza promesse, il restare di Dio �senza difesa� lasciando cos� l'uomo �senza difesa�, gli sembra comportino un �prezzo troppo alto� per Dio e per l'umanit� stessa.85 Proprio questo avvertire l'ombra paralizzante di un �prezzo troppo alto� potrebbe scuotere internamente l'intero discorso levinasiano su etica, mortalit� e sacrificio. Davvero la finitezza mortale dell'uomo sarebbe l'orizzonte ontologico ultimo che commisura a s� il dono di accoglienza e di comunicazione vitale che proviene dall'infinito del Bene?

Esplorando l'intrigo etico con le risorse di una decisiva ispirazione religiosa e di una rivoluzionaria indagine razionale, Levinas ha reso testimonianza in maniera incancellabile all'assoluto del Bene che regge l'umano. In pari tempo, ha forse lasciato calare su questa scena il riverbero di una fede nella �legge� che, dopo Auschwitz, sa, con un fiero rifiuto di consolazioni, che non deve fare conto su alcuna promessa. Forse proprio una simile fede condiziona il suo modo filosofico di inquadrare l'appello etico come chiamata in giudizio che inchioda alla responsabilit� l'ambiguo egoismo del conatus essendi soggettivo, ma non dona all'impegno soggettivo altro riferimento vitale se non quello della inoltrepassabile mortalit� umana. Col serio pericolo che a contestare l'ingiustificata prepotenza del conatus e le pieghe atroci della storia, dove la violenza si scatena in forme che sembrano rendere insensata o addirittura empia ogni attesa del novum, resti solo il vessillo di un'oblativit� a fondo perduto. Disposta a lasciarsi spogliare, fiera del suo non avere bisogno di traguardi salvifici, ma forse risucchiata dentro un'autoreferenziale idolatria del sacrificio.

7. Infinito del bene e infinito del tempo ^

Gli interrogativi, i dubbi, le difficolt� che sono venuti fuori analizzando in Levinas il rapporto tra evento della responsabilit� e dimensione temporale, girano intorno, si pu� dire, a questa affermazione: �l'infinito del tempo non mi spaventa affatto, esso � l'ad-Dio stesso, migliore dell'eternit� che � l'esasperazione del presente�.86 Per il filosofo ebreo, un richiamo assoluto lavora internamente l'inquietudine del tempo cos� da renderlo �pazienza dell'infinito�; ma questo richiamo non prefigura l'affrancamento del tempo finito dalle sue carenze strutturali, non offre agli abitatori del tempo un orizzonte altro per sostenere lo scandalo della sofferenza e della morte, per alimentare la �nostalgia di una perfetta e consumata giustizia� (M. Horkheimer). Al contrario, se l'assoluto parla nella dirittura etica e mi affida la nudit� del volto d'Altri, c'� poi bisogno che una problematicit� insolvibile, un rischio di non senso caratterizzino in modo ultimativo la �relazione con l'Infinito� vissuta nella �responsabilit� di un mortale per un mortale�. Ce n'� bisogno affinch� il rendersi disponibili non venga inquinato dall'attesa di soddisfazione, affinch� la passivit� assoluta non ceda il posto alla mira intenzionale. Cos�, per�, il per s� del bene, la sua gratuit� e auto-finalit� che Levinas intende proteggere da qualunque commistione con interessi ontologici, finirebbe per rimanere prigioniero di una cattiva dipendenza: l'abisso generoso si ricarica di senso grazie al �morire per nulla� assegnato agli umani. Il �meglio che essere� in cui si libra il bene e a cui il soggetto � chiamato, una volta ripudiato qualunque patto tra gratuit� e piano fondamentale dell'essere, tra agatologia e ontologia, si trova a subire un pesantissimo vincolo tra appello etico e contingenza mortale della condizione umana. Rifiutata l'idea che la gloria del bene sia, inseparabilmente, dono di una ricchezza vitale non consegnata alla morte, preclusa al soggetto una partecipazione salvifica al trionfo del bene, si profila in queste caratterizzazioni del discorso levinasiano la strana alleanza tra infinito del bene e infinito del tempo. In alcuni tratti, la prospettiva di Levinas sembrerebbe accostabile alla postmoderna etica della finitezza che legge lo status viatoris dell'esistenza umana come remissione senza promesse al problematico e al contingente: non si rifiuta la meta ultratemporale perch� si tende a mete conseguibili nel tempo, ma perch� l'avere una meta contamina il puro essere votati all'incertezza, rovina il bel rischio della temporalit� come apertura all'indeciso e all'imprevedibile. Certo, Levinas non sottoscriverebbe mai la convinzione, cara al pensiero della finitezza, secondo cui qualunque senso umano del bene e del compito morale si nutre sempre solo di origini contingenti e di decisioni fallibili. E per�, in una maniera non facile da capire, forse aporetica, il filosofo ebreo per salvaguardare nella condizione temporale il �mai della pazienza�, ovvero quella tensione che non pu� e non deve osare la presa di possesso dell'alterit� che la regge, finisce per celebrare il �sempre del tempo�.87 Col risultato che il tempo affetto dall'infinito diventa a suo modo esso stesso infinito. Tutto questo � detto per contrastare una presunzione di dominio, una "fusione" che sopprima la distanza tra il desiderante e il desiderabile, tra homo patiens e infinito. A tutela quindi sia della purezza della trascendenza sia della sofferta grandezza di quel desiderio interrogante che � il distintivo della finitezza. Per�, appunto, infinito viene reso anche il tempo, e allora la suddetta distanza incolmabile sembra diventare qualcosa di cui il tempo si serve per porre in primo piano la intramontabile passione del suo tendere. Come un'inquietudine che diffidando di qualsiasi quiete finisce per compiacersi di se stessa. Torna in mente la celebre risposta che Lessing immagina di dare qualora Dio chiedesse all'uomo di scegliere tra il trovare pace presso la pienezza del vero e un perpetuo cammino di ricerca segnato da indefinite peripezie di erramento: all'umano si addice l'instancabile tendere verso non mai il tenere in mano la meta. Dove risulta oltremodo significativo, e nel clima postmoderno rivela appieno la sua ambivalenza, il tono insieme umile e orgoglioso di una simile scelta.

Cosa significa proclamare l'infinito del tempo �migliore� dell'eternit�? Pi� che attingere all'inesauribilit� dell'altro, questo infinito sembra trarre alimento e misura dall'insaziabilit� della sua fame.88 La fecondit� della distanza parrebbe non pi� dipendere dall'inesauribile dono comunicativo con cui l'Altro mi va accogliendo, e diventare risorsa tutta interna a un esercizio di cammino che troverebbe nel suo durare sempre una forma di definitivit� in cui specchiarsi e di cui in certo modo appagarsi. Come se il cammino non si lasciasse pi� misurare e guidare da altro e verso altro, ma mettesse in atto una sorta di auto-affezione pura, proprio secondo il modello, da Levinas di continuo bersagliato, di un procedere che si autoassolve dal debito nei confronti di ogni anteriorit�. La pazienza del tempo e lo slancio della responsabilit� che dovrebbero mantenersi aperti al futuro non anticipabile, sembrano piuttosto fare propria una sorta di anticipazione del non compimento che cattura l'inattingibilit� dell'Altro.

A questo punto la diacronia, nodo etico della temporalit�, non corre il rischio di essere risucchiata dentro la marcia sincronica di un procedere curvato su se stesso? L'idea levinasiana di deformalizzare il tempo, liberandolo dalle pretese della coscienza, rischia di andare a beneficio di un'altra forma: il ciclo chiuso che vede l'infinito del tendere rendere vicendevolmente correlati il tempo dell'essere, definito dall'ostinazione del conatus, e il tempo dell'altrimenti che essere, prigioniero del bisogno di negare il primo. Lo sforzo di esistere viene riscattato al senso ma solo da una dinamica oblativa che sconta il perenne bisogno di sacrificare l'attaccamento all'essere. L'infinito del tempo spende il suo sempre rimanendo condannato a oscillare tra l'emergenza di pretese ingiuste (quelle riproposte dal conatus essensi) e l'imporsi di obbligazioni sacrificali (quelle a cui chiama il bene). Come se le miracle du miracle ovvero il fatto qu'un homme puisse avoir sens pour un autre homme e quella saintet� che vibra della possibilit� de ressentir l'�tre-vers-la-mort de l'autre plus intens�ment que mon �tre-vers-la-mort,89 fossero lampi capaci di squarciare il buio orrido dell'il y a ma solo per rimanere subito inghiottiti da un insensato ciclo della vita e della morte dove lo splendore del bene non � pi� percepibile.

Mai sarebbe questa, certamente, l'ultima parola di Levinas. E tuttavia sembra lecito ritenere che, proprio in nome dell'infinito del bene e all'avventura etica umana, il suo immenso discorso meriterebbe uno scenario non compromesso da un finitismo ontologico a tinte sacrificali. Affinch� l'appello che ci fa abitare il tempo come responsabili del tempo, non venga poi ancorato al peso insuperabile di un destino contingente, facendo gravare una sovrana ipoteca di indifferenza sulla pi� irrinunciabile tra le differenze, quella tra il richiamo del bene e la distruttiva spinta egocentrica.

Copyright � 2012 Giorgio Palumbo

Giorgio Palumbo. �Responsabilit� che misura il tempo, responsabilit� consegnata al tempo. Una possibile aporia nel pensiero di Levinas�. Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 14 (2012) [inserito il 10 luglio 2012], disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [110 KB], ISSN 1128-5478.

Note

  1. Cfr. J. Habermas, Il pensiero post-metafisico, a cura di M. Galloni, Laterza, Bari 1991, pp. 181-182. L'autore riferisce questa espressione alla �ragione comunicativa�, che � per lui l'espressione pi� significativa della nostra vocazione morale. <

  2. Cfr. S. Natoli, Stare al mondo, Feltrinelli, Milano 2002, p.150. <

  3. E. Morin - A.B. Kern, 'Terra-Patria, trad. it. S. Lazzari, Cortina Editore, Milano 1994, p. 175. <

  4. J. Habermas, Il pensiero post-metafisico, cit. p. 182. <

  5. H. Jonas, Il principio responsabilit�, trad. it. di P. Rinaudo, Einaudi 1990, p. 156. <

  6. Questa citazione e la seguente da F. Savater, Il coraggio di scegliere, trad. it. F. Saltarelli, Laterza, Roma 2004, p. 151. <

  7. Questa citazione e la seguente da T. Pievani, La vita inaspettata, Cortina Editore, Milano 2011, p. 225 e p. 213. <

  8. H. T. Engelhardt, �La responsabilit� come principio guida per le biotecnologie�, in Ragion Pratica, 1 (2006), p. 477. <

  9. Le espressioni citate sono tratte da tre saggi diversi contenuti in E. Levinas, Tra noi. Saggi sul pensare-all'altro, a cura di E. Baccarini, Jaca Book, Milano 1998, pp. 206, 260, 150. <

  10. Cfr. E. Levinas, Tra noi, cit., pp. 118-119. <

  11. Levinas riprende spesso questi termini pascaliani per denunciare il carattere "detestabile" che ha la versione enfatica dell'io. Cfr. ad esempio E. Levinas, Tra noi, cit., pp. 165-180. <

  12. Queste espressioni, che sintetizzano splendidamente la fenomenologia del per-altro svolta in Altrimenti che essere, si trovano in E. Levinas, Tra noi, cit., p. 132. <

  13. Le citazioni sono prese rispettivamente da E. Levinas - A. Peperzak, Etica come filosofia prima, a cura di Ciaramelli, Guerini e Associati, Milano 1989 p. 26 e da E. Levinas, Umanesimo dell'altro uomo, trad. A. Moscato, Il Melangolo, Genova 1985, p. 107. <

  14. Cfr. E. Levinas, Tra noi, cit., pp. 193-196. <

  15. E. Levinas, Altrimenti che essere, trad. S. Petrosino e M. T. Aiello, Jaca Book, Milano 1983, p. 108. <

  16. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, a cura di S. Petrosino, Jaca Book, Milano 1998, p. 60. Sul modo in cui Levinas si rapporta all'analisi husserliana della temporalit� cfr. R. Bernet, Il mio tempo e il tempo dell'altro, in Filosofia del tempo, a cura di L. Ruggiu, B. Mondadori, Milano 1998, pp. 183-198. Viene evidenziato come il proposito levinasiano di far emergere �la presenza dell'altro nel cuore della temporalizzazione� da un lato implica la critica al primato husserliano della coscienza e al suo potere attivo di ri-presentazione, dall'altro vede la ripresa e la radicalizzazione in chiave etica del tema husserliano dell'�impressione originaria� come �affezione della coscienza per mezzo di un presente che si impone ad essa in modo imprevedibile� (p. 191). Cos�, �sostituendo il tempo dell'etero-affezione al tempo dell'auto-affezione, sostituendo il tempo della passivit� a quello della rappresentazione intenzionale, ci� a cui mira Levinas � una rifondazione del soggetto trascendentale egoico in soggetto etico il quale (...) � responsabilit� verso l'altro e proveniente dall'altro� (ivi, p. 190). <

  17. E. Levinas, Tra noi, cit., p. 261. <

  18. Cfr. ivi, p. 206. <

  19. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., p. 17. <

  20. Cfr. E. Levinas, Umanesimo dell'altro uomo, cit., pp. 86-92. <

  21. E. Levinas , Di Dio che viene all'idea, a cura di S. Petrosino, Jaca Book, Milano 1983, p. 113. <

  22. Questo accadrebbe anche quando, come nel caso della ricerca che Heidegger conduce in Kant e il problema della metafisica, la delucidazione della �recettivit� radicale� del comprendere finito fa leva sull'�immaginazione trascendentale� che �offre al soggetto un 'alveolo di nulla' per precedere il dato e assumerlo� ( E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., p. 110). <

  23. E. Levinas, Di Dio che viene all'idea, cit., p. 192. <

  24. Cfr. ad esempio E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., p. 142. <

  25. Cfr. E. Levinas, Totalit� e Infinito, cit., p. 301. Sulla tematica della creazione in Levinas cfr., tra l'altro, O. Gaviria Alvarez, �L'id�e de cr�ation chez Levinas: une arch�ologie du sens�, in Revue philosophique de Louvain, LXXII (1974), pp. 509-538; F. P. Ciglia, Un passo fuori dall'uomo. La genesi del pensiero di Levinas, Cedam, Padova 1988, pp. 99-114; S. Petrosino, �L'id�e de cr�ation dans l'oeuvre de Levinas�, in La diff�rence come non-indiff�rence, sous la direction d'Arno Munster, Kim�, Paris 1995, pp. 97-108. <

  26. Cfr. E. Levinas, Totalit� e Infinito, cit., pp. 103-106. <

  27. Ivi, p. 88. <

  28. Cfr. ivi, p. 119. <

  29. Si veda G. Ferretti, La filosofia di Levinas, Rosenberg & Sellier, Torino 1996, p. 128 e pp. 236-238. Viene messo in evidenza come le analisi relative al costituirsi dell'io in Dall'esistenza all'esistente girano intorno al �sorgere dell'esistente sullo sfondo neutro e impersonale dell'il y a�, mentre in Totalit� e Infinito sono volte a mostrare come l'esperienza del �rapporto con l'assolutamente Altro implica un esistere in s� come separato dall'Altro�. A sua volta il passaggio ad Altrimenti che essere, implica, come accenneremo, lo sconvolgimento di una presunta identit� sia sostanziale sia coscienziale dell'io a favore di un se stesso fatto di passivit� assoluta, di �prossimit� e �soistituzione�. <

  30. E. Levinas, Totalit� e Infinito, cit., pp. 150-151. <

  31. Cfr. la sezione seconda di Totalit� e Infinito. <

  32. E. Levinas, Difficile libert�, Albin Michel, Paris 1976, p. 30. Cfr. pure E. Levinas, Totalit� e infinito, cit., p. 57 e E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., p. 35. <

  33. Cfr. E. Levinas, Totalit� e Infinito, cit., pp. 57 e 136. <

  34. Cfr. G. Ferretti, La filosofia di Levinas, cit., p. 128 <

  35. E. Levinas, Tra noi, cit., p. 227. <

  36. In Altrimenti che essere il passo filosoficamente decisivo consiste (...) � envisager le sujet (...) comme passivit� en son origine m�me, et qui ne deviendra 'actif' que de mani�re d�riv�e et seconde. Passivit� d'un sujet non plus pens� comme le M�me d�j� constitu� qui ensuite rencontre l'Autre et, avec lui, la limite de son pouvoir - mais originairement structur� comme Autre-dans-le-M�me, in J. ROLLAND, Parcours de l'autrement, Puf, Paris 2000, p. 384. <

  37. Cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, trad. it. di P.Chiodi, Torino 1969, pp. 225-226, (� 29). <

  38. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., p. 63. <

  39. Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., p. 110 e E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., p. 295. <

  40. Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., p. 145. <

  41. Ivi, p. 16. <

  42. E. Levinas, Tra noi, cit., p. 210. <

  43. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., p. 15. <

  44. Ibidem. <

  45. E. Levinas, Totalit� e infinito, cit., p. 224 e E. Levinas, Di Dio che viene all'idea, cit., p. 95. <

  46. Cfr. E. Levinas, Tra noi, cit., p. 207 e E. Levinas, L'al di l� del versetto. Letture e discorsi talmudici, a cura di G. Lissa, Guida, Napoli 1986, p. 173. <

  47. Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., p. 188. <

  48. Levinas definisce �trauma e non thauma� il �risveglio� dell'io �a partire dall'altro�. Vedi E. Levinas, Tra noi, cit., p. 119. <

  49. Cfr. ad esempio H. U. von Balthasar, Nello spazio della metafisica. Gloria, vol. V, trad. G. Sommavilla, Jaca Book, Milano 1978, pp. 549-551. In pagine dense e suggestive si snoda per tappe essenziali il rapporto vitale che apre la coscienza al senso dell'essere nel segno di un dialogo con un mistero da cui si � accolti. A partire dalla percezione infantile, che coglie l'esistenza come avvolta da �un' inafferrabile luce di grazia� riflessa nell'incontro col �tu� dei genitori, fino ad una maturazione fatta di inevitabili disillusioni, di avvertimento del dovere, di angoscia del domandare, ma sempre chiamata a confermare in forme pi� consapevoli e ricche la primaria insuperabile �esperienza di meraviglia e di gioco� che gi� orienta il bambino a riconoscere nel dono in cui � immerso il segreto dell'essere al mondo. <

  50. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., p. 296. <

  51. C'� tuttavia un recupero molto importante di attenzione per l'io come �altro per altri), ovvero come soggetto che gode dell'altrui responsabilit�, quando si entra nell'ordine della giustizia, caratterizzato dalla reciprocit� di diritti e doveri. � l'ordine della oggettivazione rappresentativa e della regolazione dei rapporti umani, che si rende necessario e che giustifica l'ontologia dei soggetti paragonabili a tutela del �terzo� uomo la cui presenza irrompe gi� sempre nella scena intersoggettiva. A tal proposito viene detto: �grazie a Dio sono altri per gli altri� e si intende con ci� che nella traccia dell'Illeit� sta anche la �correlazione reciproca� che �mi lega all'altro uomo� (Altrimenti che essere, cit., p. 198). Ma squarci come questi confermano che primario resta l'ordine etico dove regna l'asimmetria, dove l'io senza diritti � votato al tu, dove l'Illeit� si lascia rintracciare nella linea di una chiamata a darsi, e non parimenti o anzitutto nella linea di un trovarsi custoditi da un dono. Nota, a tal proposito, G. Ferretti che se Levinas, attraverso la giustizia e a fondamento di essa, riportasse esplicitamente questo �grazie a Dio ...� all'originariet� di un amore gratuito e di una responsabilit� di cui io sono termine, allora �il discorso di Levinas potrebbe avere uno straordinario sviluppo (...) Ci si potrebbe infatti chiedere se all'origine della significazione, prima ancora che il mio essere convocato alla responsabilit� per altri, non ci sia il mio ritrovarmi come gratuitamente eletto dall'amore di altri, nella traccia dell'Amore di Dio, e solo di riflesso, o come conseguenza, chiamato ad essere a mia volta gratuitamente responsabile di Altri�. Cfr. G. Ferretti, La filosofia di Levinas, cit., p. 294. <

  52. Cfr. E. Levinas, Tra noi, cit., p. 203. <

  53. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., p. 48. <

  54. Cfr. Ivi, p. 158. Si veda anche E. Levinas, Tra noi, cit., pp. 105 e 108. <

  55. Cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, cit., pp. 377-380 (� 50). <

  56. Cfr. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., pp. 89-92. <

  57. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., p. 48. <

  58. Cfr. E. Levinas , Il Tempo e l'Altro, a cura di E P. Ciglia, Il Melangolo, Genova 1987, pp. 41-46 e E. Levinas, Totalit� e Infinito, cit., pp. 239-240. <

  59. Cfr. E P. Ciglia, Un passo fuori dall'uomo. La genesi del pensiero di Levinas, cit. p. 193. Su questa tematica si veda anche P. A. Rovatti, �Il tempo e l'Altro (1948)�, in Intorno a Levinas, a cura di P. A. Rovatti, Unicopli, Milano 1987, pp. 67-86; inoltre J. Rolland, Parcours de l'autrement, cit., pp. 355-385. <

  60. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., p. 162. <

  61. Cfr. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., p. 157. <

  62. Cfr. E. Levinas, Totalit� e infinito, cit., pp. 240-241. <

  63. Iv�, p. 242. <

  64. Cfr. ad esempio E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., p. 162. <

  65. E. Levinas,