La presente ricerca sull’edificante in Kierkegaard comincia con una prima sezione: Kierkegaard nel contesto teologico-filosofico della sua epoca, divisa a sua volta in due parti. La prima parte (Kierkegaard, i suoi contemporanei e l’hegelismo a Copenaghen) intende inserire l’autore danese nel suo tempo, inquadrando la situazione storica, economica, politica e filosofica della Danimarca nella prima metà dell’Ottocento, mettendo in evidenza i caratteri del forte risveglio culturale, intellettuale e artistico di quel periodo che va sotto il nome di “Età dell’oro”[Guldalderen]. Questa prima parte si prefigge fondamentalmente l’obiettivo di esporre il rapporto tra Kierkegaard e il pensiero speculativo idealista nella Danimarca della prima metà dell’Ottocento. Al fine di inserire il Filosofo danese nel contesto filosofico a lui contemporaneo, ho ritenuto opportuno dare un cenno alle lezioni berlinesi di Schelling del 1841-42 sulla Filosofia della Rivelazione, a cui anche Kierkegaard prese parte, e alla ricezione danese dell’ultimo Schelling. Ciò è stato utile a chiarire il secondo irrinunciabile tema kierkegaardiano - l’anti-hegelismo -1, a partire dall’acquisizione, quanto più puntuale, dei luoghi emblematici in cui il pensiero di Hegel, sempre citato ed utilizzato e contrario da Kierkegaard, manifesta i propri nodi concettuali e tematici, in relazione ai temi della ricerca. A questi luoghi sono stati argomentativamente affiancati i temi tipici dell’opera kierkegaardiana al fine di verificarne la portata non solo polemica ma prettamente filosofica. La seconda parte: Kierkegaard e il pietismo, si pone l’obiettivo di inserire il Filosofo nel contesto teologico protestante dell’epoca, nello specifico il pietismo, al quale egli venne formato. Si è in proposito sottolineato il suo atteggiamento duplice, ma non ambiguo, nei confronti di quel movimento religioso, in quanto, se da unaparte egli lo considera «la sola forma logica del Cristianesimo», dall’altra ne prende le distanze sottolineando di non aver mai « nel più lontano dei modi, dato a vedere né fatto tentativo alcuno di voler portare la faccenda fino al pietismo o al rigore pietistico». E benché il Filosofo ribadisse, ad ogni prefazione dei suoi Discorsi edificanti, di non voler essere un prosecutore della tradizione pietista, di non averne neppure l’autorità [Myndighed], tuttavia non è possibile non scorgere la continuità che il Danese stabilisce con essa, nella sua forma espositiva di “genere di letteratura di edificazione”, genere che in ambito pietista aveva avuto un nuovo impulso con i Quattro libri sul vero cristianesimo di Johann Arndt2, nei confronti del quale Kierkegaard si rivolgeva con un tale rispetto e una tale venerazione da attribuirgli l’appellativo di «vera autorità». Segue la sezione seconda: L’edificante in Kierkegaard, nel quale si intende presentare la categoria dell’edificante nei suoi caratteri generali, attraverso una serrata analisi testuale degli Opbyggelige Taler. L’obiettivo è di spiegare la semantica del termine «op-bygge» nel contesto kierkegaardiano e di determinare la centralità dei discorsi edificanti all’interno della dimensione etico-religiosa della produzione del filosofo. Se l’edificazione va intesa fondamentalmente come ricerca di una verità soggettiva e interiore e se Kierkegaard esplicitamente nega che i suoi discorsi appartengono alla letteratura di edificazione, ciò può significare che essi acquistano rilievo, innanzitutto, nella dimensione filosofica, come anche Heidegger3, in Essere e tempo, ha sottolineato. Si tratta cioè di indagare su una verità – la verità che edifica - ma imboccando il sentiero opposto a quello della pura e fredda speculazione, andando in direzione dell’esistere, alla ricerca di unaverità che sia soggettività, interiorità. Bisogna cominciare dal conoscere se stessi, far proprio l’insegnamento socratico del gnòthi seautòn, indagando, non su una verità che uno speculante conosce -una verità «di approssimazione»[Anskuelse] - ma, socraticamente, su quella verità di cui l’esistente va alla ricerca, la verità di «appropriazione» [Tilegnelse]. I discorsi edificanti non sono, dunque, secondo le parole di Hegel, «ciò da cui la filosofia deve ben guardarsi»4, bensì – come sottolinea Kierkegaard - «lungi dall’essere un narcotico che addormenta, l’edificante è l’amen dello spirito temporale ed un aspetto della conoscenza che non è lecito trascurare»5. Nella terza sezione: “Soggettività e temporalità nell’edificazione kierkegaardiana”, la ricerca si propone di sviluppare i nodi tematici ottenuti attraverso l’analisi testuale, condotta nella sezione precedente, per un discorso filosofico che abbia i suoi capisaldi nei tre concetti di Soggetto [Subjekt], Tempo [Tidslighed] ed Eterno [Evighed]. Infatti, il Soggetto è, oggi, in molti ambiti della filosofia contemporanea identificato con la sua stessa apertura ermeneutica alla verità, non tanto come luogo o spazio dove attingere “il vero”, ma come “tempo” vivendo il quale soltanto è possibile maturare una relazione con l’Eterno. Bisogna pur sempre muovere dalle tracce che l’Eternità, dandosi nel tempo, offre di sé al finito in termini di rivelazione. E, d’altro canto, non sembra che né Hegel né l’idealismo speculativo a lui ostile (si pensi agli studi di Schelling sulla Filosofia della Rivelazione) abbiano cercato di rimuovere la filosoficità della Rivelazione nella storia e nella storia del pensiero, non tanto come “scrittura” o “verbo divino”, cui in qualche modo relazionarsi come ad una Legge, quanto come dipanarsi di un “vero”, di una “idea” che si fa storia, rivelandosi, appunto, nel fluire del tempo. Per questo, il Soggetto, come “apertura ermeneutica alla verità”, e l’Eterno, comedisponibilità storica alla rivelazione, sono i due poli entro cui è possibile fondare una nuova categoria di tempo, e, infine, di etica. Qui l’Edificante di Kierkegaard si muove all’interno di un mondo contemporaneo interessato alla filosofia come cifra della qualità della “persona”, e, quindi, del suo modo di tessere rapporti con gli altri, con la storia, la morale, le leggi, il bene, che è poi il volto etico dell’Eterno nella storia. Gli sviluppi tematici del nodo soggetto/tempo/eterno, letti più sul crinale della temporalità soggettiva, e quindi a parte homini, piuttosto che in chiave di metafisica rivelativa o fenomenologica, a parte Dei, ben rispecchiano la specificità dell’edificante kierkegaardiano che, pur tra nodi assai aggrovigliati, cerca di muovere il suo passo alla ricerca di quella purezza del cuore [Hjertets Reenhed], che viene identificata con una performazione della volontà (la purezza del cuore è volere una cosa sola) [Hjertets Reenhed er at ville Eet] che è la scelta: «Essendo la scelta intrapresa con tutta l’interiorità della personalità, egli arriverà ad essere purificato dentro di sé e, come tale, messo in un immediato rapporto con quella potenza eterna che, onnipresente, imbeve l’intera esistenza. Tale trasfigurazione, tale più alta consacrazione mai raggiunge colui che non sceglie che esteticamente»6. Inoltre, chi riesce a scegliere, a performare la propria volontà nella direzione della purezza, “vuole una cosa sola”, ovvero “vuole il bene” (I Sandhed at ville Eet kan saaledes kun betyde at ville det Gode/In verità, volere una cosa sola può solo significare volere il Bene). Il Soggetto che sceglie, che “decide”, che mette in gioco tutto il proprio “se stesso” per volere, unicamente, quella cosa che è il bene, agisce in base ad una categoria centrale della filosofia morale: il dovere. Nell’evolversi dell’edificante, in Kierkegaard, il tema della doppiezza d’animo [Tvesindheden] viene, senza mezzi termini, contrapposto a quello dell’unità del bene. È, infatti, “quel” dovere di “volere una cosa sola” a rendere possibile la relazione tra Soggetto ed Eterno e a costruire il fondamento di un’etica che, ancor prima che aprirsi a una dimensione teologica, trova una immediata ricaduta sul piano antropologico. L’Eterno cristiano, infatti, non potendosiconsiderare “momento” in prospettiva logica, né semplice “al di là” in prospettiva metafisica, compiendo – per altro – la sua rivelazione in “modalità” anomale anche per le categorie classiche della teologia, si è fatto tempo, carne, storia, vita, e persino morte. Volere “quella” sola cosa, pur se il cuore ha in sé doppiezze d’animo che vorrebbero evadere dal dovere, è secondo Kierkegaard, la sfida di ogni cristiano che “vuol diventar cristiano”.

La Fiora, . (2014). Soggettività, temporalità, etica in Kierkegaard Per una lettura filosofica dei Discorsi edificanti.

Soggettività, temporalità, etica in Kierkegaard Per una lettura filosofica dei Discorsi edificanti

La Fiora, Francesca
2014-04-14

Abstract

La presente ricerca sull’edificante in Kierkegaard comincia con una prima sezione: Kierkegaard nel contesto teologico-filosofico della sua epoca, divisa a sua volta in due parti. La prima parte (Kierkegaard, i suoi contemporanei e l’hegelismo a Copenaghen) intende inserire l’autore danese nel suo tempo, inquadrando la situazione storica, economica, politica e filosofica della Danimarca nella prima metà dell’Ottocento, mettendo in evidenza i caratteri del forte risveglio culturale, intellettuale e artistico di quel periodo che va sotto il nome di “Età dell’oro”[Guldalderen]. Questa prima parte si prefigge fondamentalmente l’obiettivo di esporre il rapporto tra Kierkegaard e il pensiero speculativo idealista nella Danimarca della prima metà dell’Ottocento. Al fine di inserire il Filosofo danese nel contesto filosofico a lui contemporaneo, ho ritenuto opportuno dare un cenno alle lezioni berlinesi di Schelling del 1841-42 sulla Filosofia della Rivelazione, a cui anche Kierkegaard prese parte, e alla ricezione danese dell’ultimo Schelling. Ciò è stato utile a chiarire il secondo irrinunciabile tema kierkegaardiano - l’anti-hegelismo -1, a partire dall’acquisizione, quanto più puntuale, dei luoghi emblematici in cui il pensiero di Hegel, sempre citato ed utilizzato e contrario da Kierkegaard, manifesta i propri nodi concettuali e tematici, in relazione ai temi della ricerca. A questi luoghi sono stati argomentativamente affiancati i temi tipici dell’opera kierkegaardiana al fine di verificarne la portata non solo polemica ma prettamente filosofica. La seconda parte: Kierkegaard e il pietismo, si pone l’obiettivo di inserire il Filosofo nel contesto teologico protestante dell’epoca, nello specifico il pietismo, al quale egli venne formato. Si è in proposito sottolineato il suo atteggiamento duplice, ma non ambiguo, nei confronti di quel movimento religioso, in quanto, se da unaparte egli lo considera «la sola forma logica del Cristianesimo», dall’altra ne prende le distanze sottolineando di non aver mai « nel più lontano dei modi, dato a vedere né fatto tentativo alcuno di voler portare la faccenda fino al pietismo o al rigore pietistico». E benché il Filosofo ribadisse, ad ogni prefazione dei suoi Discorsi edificanti, di non voler essere un prosecutore della tradizione pietista, di non averne neppure l’autorità [Myndighed], tuttavia non è possibile non scorgere la continuità che il Danese stabilisce con essa, nella sua forma espositiva di “genere di letteratura di edificazione”, genere che in ambito pietista aveva avuto un nuovo impulso con i Quattro libri sul vero cristianesimo di Johann Arndt2, nei confronti del quale Kierkegaard si rivolgeva con un tale rispetto e una tale venerazione da attribuirgli l’appellativo di «vera autorità». Segue la sezione seconda: L’edificante in Kierkegaard, nel quale si intende presentare la categoria dell’edificante nei suoi caratteri generali, attraverso una serrata analisi testuale degli Opbyggelige Taler. L’obiettivo è di spiegare la semantica del termine «op-bygge» nel contesto kierkegaardiano e di determinare la centralità dei discorsi edificanti all’interno della dimensione etico-religiosa della produzione del filosofo. Se l’edificazione va intesa fondamentalmente come ricerca di una verità soggettiva e interiore e se Kierkegaard esplicitamente nega che i suoi discorsi appartengono alla letteratura di edificazione, ciò può significare che essi acquistano rilievo, innanzitutto, nella dimensione filosofica, come anche Heidegger3, in Essere e tempo, ha sottolineato. Si tratta cioè di indagare su una verità – la verità che edifica - ma imboccando il sentiero opposto a quello della pura e fredda speculazione, andando in direzione dell’esistere, alla ricerca di unaverità che sia soggettività, interiorità. Bisogna cominciare dal conoscere se stessi, far proprio l’insegnamento socratico del gnòthi seautòn, indagando, non su una verità che uno speculante conosce -una verità «di approssimazione»[Anskuelse] - ma, socraticamente, su quella verità di cui l’esistente va alla ricerca, la verità di «appropriazione» [Tilegnelse]. I discorsi edificanti non sono, dunque, secondo le parole di Hegel, «ciò da cui la filosofia deve ben guardarsi»4, bensì – come sottolinea Kierkegaard - «lungi dall’essere un narcotico che addormenta, l’edificante è l’amen dello spirito temporale ed un aspetto della conoscenza che non è lecito trascurare»5. Nella terza sezione: “Soggettività e temporalità nell’edificazione kierkegaardiana”, la ricerca si propone di sviluppare i nodi tematici ottenuti attraverso l’analisi testuale, condotta nella sezione precedente, per un discorso filosofico che abbia i suoi capisaldi nei tre concetti di Soggetto [Subjekt], Tempo [Tidslighed] ed Eterno [Evighed]. Infatti, il Soggetto è, oggi, in molti ambiti della filosofia contemporanea identificato con la sua stessa apertura ermeneutica alla verità, non tanto come luogo o spazio dove attingere “il vero”, ma come “tempo” vivendo il quale soltanto è possibile maturare una relazione con l’Eterno. Bisogna pur sempre muovere dalle tracce che l’Eternità, dandosi nel tempo, offre di sé al finito in termini di rivelazione. E, d’altro canto, non sembra che né Hegel né l’idealismo speculativo a lui ostile (si pensi agli studi di Schelling sulla Filosofia della Rivelazione) abbiano cercato di rimuovere la filosoficità della Rivelazione nella storia e nella storia del pensiero, non tanto come “scrittura” o “verbo divino”, cui in qualche modo relazionarsi come ad una Legge, quanto come dipanarsi di un “vero”, di una “idea” che si fa storia, rivelandosi, appunto, nel fluire del tempo. Per questo, il Soggetto, come “apertura ermeneutica alla verità”, e l’Eterno, comedisponibilità storica alla rivelazione, sono i due poli entro cui è possibile fondare una nuova categoria di tempo, e, infine, di etica. Qui l’Edificante di Kierkegaard si muove all’interno di un mondo contemporaneo interessato alla filosofia come cifra della qualità della “persona”, e, quindi, del suo modo di tessere rapporti con gli altri, con la storia, la morale, le leggi, il bene, che è poi il volto etico dell’Eterno nella storia. Gli sviluppi tematici del nodo soggetto/tempo/eterno, letti più sul crinale della temporalità soggettiva, e quindi a parte homini, piuttosto che in chiave di metafisica rivelativa o fenomenologica, a parte Dei, ben rispecchiano la specificità dell’edificante kierkegaardiano che, pur tra nodi assai aggrovigliati, cerca di muovere il suo passo alla ricerca di quella purezza del cuore [Hjertets Reenhed], che viene identificata con una performazione della volontà (la purezza del cuore è volere una cosa sola) [Hjertets Reenhed er at ville Eet] che è la scelta: «Essendo la scelta intrapresa con tutta l’interiorità della personalità, egli arriverà ad essere purificato dentro di sé e, come tale, messo in un immediato rapporto con quella potenza eterna che, onnipresente, imbeve l’intera esistenza. Tale trasfigurazione, tale più alta consacrazione mai raggiunge colui che non sceglie che esteticamente»6. Inoltre, chi riesce a scegliere, a performare la propria volontà nella direzione della purezza, “vuole una cosa sola”, ovvero “vuole il bene” (I Sandhed at ville Eet kan saaledes kun betyde at ville det Gode/In verità, volere una cosa sola può solo significare volere il Bene). Il Soggetto che sceglie, che “decide”, che mette in gioco tutto il proprio “se stesso” per volere, unicamente, quella cosa che è il bene, agisce in base ad una categoria centrale della filosofia morale: il dovere. Nell’evolversi dell’edificante, in Kierkegaard, il tema della doppiezza d’animo [Tvesindheden] viene, senza mezzi termini, contrapposto a quello dell’unità del bene. È, infatti, “quel” dovere di “volere una cosa sola” a rendere possibile la relazione tra Soggetto ed Eterno e a costruire il fondamento di un’etica che, ancor prima che aprirsi a una dimensione teologica, trova una immediata ricaduta sul piano antropologico. L’Eterno cristiano, infatti, non potendosiconsiderare “momento” in prospettiva logica, né semplice “al di là” in prospettiva metafisica, compiendo – per altro – la sua rivelazione in “modalità” anomale anche per le categorie classiche della teologia, si è fatto tempo, carne, storia, vita, e persino morte. Volere “quella” sola cosa, pur se il cuore ha in sé doppiezze d’animo che vorrebbero evadere dal dovere, è secondo Kierkegaard, la sfida di ogni cristiano che “vuol diventar cristiano”.
14-apr-2014
Soggettività, temporalità, etica
La Fiora, . (2014). Soggettività, temporalità, etica in Kierkegaard Per una lettura filosofica dei Discorsi edificanti.
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