Per gli storici c’è ancora una polemica circa l’origine ed il tempo della prima introduzione del gelso in Italia. Molti sono d’accordo che le due principali specie di gelso (Morus alba e M. nigra) provengono dall’Asia, la prima dalla Persia e la seconda dal lontano est. Sembra, comunque, che sia stato il gelso nero (Morus nigra) il primo ad essere adattato e coltivato per i suoi frutti, non solo a fini alimentari ma anche per scopi medicinali dai Greci e dai Romani (Bertelli Bargamaschi, 1994). Il gelso bianco, originario della Cina, è stato introdotto in occidente assieme al baco da seta nel XII secolo. La grande importanza del gelso bianco derivava infatti dal fatto che questo era un alimento praticamente insostituibile per il filugello. In Italia fu introdotto sempre nel secolo XII dal re delle Due Sicilie Ruggero II. Ora che l’allevamento del baco da seta in Italia è divenuto marginale anche il gelso è diventato una coltura sporadica e, in genere, si ritrovano ancora vecchi esemplari solo in prossimità dei casolari con funzione ombreggiante o per l’occasionale raccolta dei frutti. Il gelso è stato molto apprezzato dall’uomo fin dall’antichità, ma paradossalmente è poco conosciuto. Rientra, infatti, tra quelle specie da frutto che hanno avuto scarsa diffusione e commercializzazione e per questo vengono identificati come “frutti minori”. La crisi del settore agricolo oggi impone una maggiore differenziazione frutticola nei mercati e un’offerta più ampia in termini di prodotti di qualità al fine di ottenere un reddito adeguato ai produttori. Ciò ha spinto la ricerca scientifica verso una migliore conoscenza di specie un tempo coltivate nei nostri ambienti. Il gelso ne è un esempio. Il suo interesse crescente è giustificato dalla possibilità di sfruttare la sua duplice attitudine (produzione di frutti per l’alimentazione umana e di foglie per l’alimentazione animale) in maniera equilibrata e senza sfruttare eccessivamente l’albero a scapito dell’una o dell’altra produzione. La crescita rapida consente, infatti, la produzione di una biomassa vegetale particolarmente interessante per l’alimentazione zootecnica. L’interesse per la coltivazione del gelso, soprattutto quello bianco, è dovuto anche alla crescente attività di ricerca nel settore della bachicoltura. Quest’ultima è sicuramente un’attività eco-compatibile infatti il gelseto non richiede trattamenti fitosanitari particolari, non prevede grossi investimenti fondiari e strutturali e richiede, rispetto ad altre attività agricole, poca manodopera, considerando che i residui dell’allevamento possono essere riutilizzati per fare compost e che non si utilizzano pesticidi l’attività gelsi-bachicola. La pianta raggiunge grandi dimensioni (anche 20 m. di altezza) se lasciata sviluppare naturalmente; allorquando se ne doveva ricavare esclusivamente fogliame, veniva potata severamente a capitozza, per provocare l’emissione annuale di vigorose fronde. La chioma è espansa e globosa, i rami grigi o grigio-giallastri, la corteccia del tronco profondamente solcata. Le foglie sono ovato-acute con ambedue le pagine glabre irregolarmente dentate ai margini; hanno un breve picciolo scanalato. I fiori maschili sono riuniti in amenti brevi; quelli femminili in infiorescenze subglobose che danno origine ad un falso frutto (sorosio) detto anche mora di gelso. Nelle mora di gelso i sorosi sono costituiti da piccoli acheni circondati ciascuno da un perianzio divenuto carnoso. Tali more hanno un lunghezza di 3-4 cm. E colore variabile dal bianco al giallastro al viola; a maturazione cadono trattenendo il peduncolo. Sono piuttosto molli e poco sopportano il trasporto; il sapore è dolciastro, privo di acidità, un po’ stucchevole. I frutti possono essere consumati freschi, ottimi sono i succhi e gli sciroppi. Tra le leggende che si narrano sul gelso, sicuramente, la più delicata e nello stesso tempo tragica è quella che Ovidio racconta nelle "Metamorfosi". Piramo e Tisbe erano due giovani babilonesi che si amavano contro il volere delle loro famiglie. Per questo erano costretti a parlarsi attraverso una fessura dell'alto muro che divideva le loro case. Resosi conto che i genitori di entrambi non avrebbero mai acconsentito al loro matrimonio, decisero di fuggire dandosi appuntamento nei pressi di un gelso. Nel luogo d'incontro giunse prima Tisbe, che spaventata da una leonessa con le zanne ancora sporche di sangue per avere appena azzannato una preda, fuggì perdendo il velo che le copriva la testa. Piramo, giunto poco dopo, nel vedere la leonessa strappare il velo di Tisbe, pensò che l'amata fosse stata sbranata dalla belva e folle di dolore si ferì a morte con la sua spada. Quando Tisbe, calmata la paura, tornò sui suoi passi e vide il suo amato ormai morente per le ferite che si era procurato, non resistendo al dolore, anche lei si uccise. Da quel giorno il gelso dai nivei frutti, sotto il quale gli innamorati si erano dati appuntamento, produsse solo gelsi rossi, per ricordare il sacrificio dei due giovani. Curiosità: non pochi critici accusano William Shakespeare di aver copiato la sua tragedia "Romeo e Giulietta"dalla triste vicenda sopra descritta.

Mirabella, . (2014). ANALISI BIOMETRICA DI VARIETA’ DI MORUS ALBA AI FINI DELLA IDENTIFICAZIONE E CLASSI- FICAZIONE.

ANALISI BIOMETRICA DI VARIETA’ DI MORUS ALBA AI FINI DELLA IDENTIFICAZIONE E CLASSI- FICAZIONE

Mirabella, Fabio
2014-04-14

Abstract

Per gli storici c’è ancora una polemica circa l’origine ed il tempo della prima introduzione del gelso in Italia. Molti sono d’accordo che le due principali specie di gelso (Morus alba e M. nigra) provengono dall’Asia, la prima dalla Persia e la seconda dal lontano est. Sembra, comunque, che sia stato il gelso nero (Morus nigra) il primo ad essere adattato e coltivato per i suoi frutti, non solo a fini alimentari ma anche per scopi medicinali dai Greci e dai Romani (Bertelli Bargamaschi, 1994). Il gelso bianco, originario della Cina, è stato introdotto in occidente assieme al baco da seta nel XII secolo. La grande importanza del gelso bianco derivava infatti dal fatto che questo era un alimento praticamente insostituibile per il filugello. In Italia fu introdotto sempre nel secolo XII dal re delle Due Sicilie Ruggero II. Ora che l’allevamento del baco da seta in Italia è divenuto marginale anche il gelso è diventato una coltura sporadica e, in genere, si ritrovano ancora vecchi esemplari solo in prossimità dei casolari con funzione ombreggiante o per l’occasionale raccolta dei frutti. Il gelso è stato molto apprezzato dall’uomo fin dall’antichità, ma paradossalmente è poco conosciuto. Rientra, infatti, tra quelle specie da frutto che hanno avuto scarsa diffusione e commercializzazione e per questo vengono identificati come “frutti minori”. La crisi del settore agricolo oggi impone una maggiore differenziazione frutticola nei mercati e un’offerta più ampia in termini di prodotti di qualità al fine di ottenere un reddito adeguato ai produttori. Ciò ha spinto la ricerca scientifica verso una migliore conoscenza di specie un tempo coltivate nei nostri ambienti. Il gelso ne è un esempio. Il suo interesse crescente è giustificato dalla possibilità di sfruttare la sua duplice attitudine (produzione di frutti per l’alimentazione umana e di foglie per l’alimentazione animale) in maniera equilibrata e senza sfruttare eccessivamente l’albero a scapito dell’una o dell’altra produzione. La crescita rapida consente, infatti, la produzione di una biomassa vegetale particolarmente interessante per l’alimentazione zootecnica. L’interesse per la coltivazione del gelso, soprattutto quello bianco, è dovuto anche alla crescente attività di ricerca nel settore della bachicoltura. Quest’ultima è sicuramente un’attività eco-compatibile infatti il gelseto non richiede trattamenti fitosanitari particolari, non prevede grossi investimenti fondiari e strutturali e richiede, rispetto ad altre attività agricole, poca manodopera, considerando che i residui dell’allevamento possono essere riutilizzati per fare compost e che non si utilizzano pesticidi l’attività gelsi-bachicola. La pianta raggiunge grandi dimensioni (anche 20 m. di altezza) se lasciata sviluppare naturalmente; allorquando se ne doveva ricavare esclusivamente fogliame, veniva potata severamente a capitozza, per provocare l’emissione annuale di vigorose fronde. La chioma è espansa e globosa, i rami grigi o grigio-giallastri, la corteccia del tronco profondamente solcata. Le foglie sono ovato-acute con ambedue le pagine glabre irregolarmente dentate ai margini; hanno un breve picciolo scanalato. I fiori maschili sono riuniti in amenti brevi; quelli femminili in infiorescenze subglobose che danno origine ad un falso frutto (sorosio) detto anche mora di gelso. Nelle mora di gelso i sorosi sono costituiti da piccoli acheni circondati ciascuno da un perianzio divenuto carnoso. Tali more hanno un lunghezza di 3-4 cm. E colore variabile dal bianco al giallastro al viola; a maturazione cadono trattenendo il peduncolo. Sono piuttosto molli e poco sopportano il trasporto; il sapore è dolciastro, privo di acidità, un po’ stucchevole. I frutti possono essere consumati freschi, ottimi sono i succhi e gli sciroppi. Tra le leggende che si narrano sul gelso, sicuramente, la più delicata e nello stesso tempo tragica è quella che Ovidio racconta nelle "Metamorfosi". Piramo e Tisbe erano due giovani babilonesi che si amavano contro il volere delle loro famiglie. Per questo erano costretti a parlarsi attraverso una fessura dell'alto muro che divideva le loro case. Resosi conto che i genitori di entrambi non avrebbero mai acconsentito al loro matrimonio, decisero di fuggire dandosi appuntamento nei pressi di un gelso. Nel luogo d'incontro giunse prima Tisbe, che spaventata da una leonessa con le zanne ancora sporche di sangue per avere appena azzannato una preda, fuggì perdendo il velo che le copriva la testa. Piramo, giunto poco dopo, nel vedere la leonessa strappare il velo di Tisbe, pensò che l'amata fosse stata sbranata dalla belva e folle di dolore si ferì a morte con la sua spada. Quando Tisbe, calmata la paura, tornò sui suoi passi e vide il suo amato ormai morente per le ferite che si era procurato, non resistendo al dolore, anche lei si uccise. Da quel giorno il gelso dai nivei frutti, sotto il quale gli innamorati si erano dati appuntamento, produsse solo gelsi rossi, per ricordare il sacrificio dei due giovani. Curiosità: non pochi critici accusano William Shakespeare di aver copiato la sua tragedia "Romeo e Giulietta"dalla triste vicenda sopra descritta.
14-apr-2014
ANALISI BIOMETRICA
Mirabella, . (2014). ANALISI BIOMETRICA DI VARIETA’ DI MORUS ALBA AI FINI DELLA IDENTIFICAZIONE E CLASSI- FICAZIONE.
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