In questo lavoro ho provato a partire da un concetto, il campo, a mappare un percorso filosofico-politico. Questo tentativo non è stato semplice e ha richiesto non solo una formale ricostruzione del concetto di campo in sé, della sua appartenenza ad una serie di autori, come la Arendt e Agamben che l'hanno modulato a partire da un'analisi dei totalitarismi, oppure ricondotto all'interno di una sovrapposizione tra politica totalitaria e politica della vita (biopolitica), ma ha anche richiesto una ricostruzione delle scene del campo, delle sue condizioni strutturali, che ho individuato nel concetto di sovranità (Agamben-Schmitt-Foucault) e nel problema della rappresentanza (Esposito-Hobbes). Tuttavia, limitarsi ad esporre il problema del campo in relazione ad un discorso sulla sovranità sarebbe stato troppo riduttivo. Avremmo perso altre questioni, che lo attraversano e che ineriscono, a chi fa e a chi ha fatto esperienza del campo, il cosiddetto Mussulmano. Questo mi ha portato su altri nodi concettuali che ho intravisto, nel problema del sé e dell'altro, nel come sia tortuoso, a volte impossibile il suo costituirsi come soggetto. Problemi che in sé recano il tema della soggettivizzazione (Foucault) e del concatenamento (Deleuze), intersezione in cui ho sentito l'esigenza di tematizzare l'antropologia di ciò che Agamben ha chiamato Homo Sacer una presenza ricavata dalla Benjaminiana nozione di Nuda Vita. In un certo senso, in questa nozione ho avvertito un'inadeguatezza, il limite di descrivere uno stato di spossessamento (Butler) e di passività nei confronti di un potere, inteso come forza sovrana-necropolitica e non pensato all’interno di un rapporto di forze (Deleuze-Nietzsche-Foucault). Queste sono le topiche che hanno animato il percorso della mia ricerca, dal punto di vista concettuale. Ma interrogarsi su ‘chi’ può fare esperienza del campo, su ‘chi’ entra in questa soglia in cui la politicità dell'uomo è stretta al centro tra natura e animalità ed coinvolta nell’articolazione complessa della forza, e delle forze e nel rapporto che queste hanno col diritto (Derrida), ci ha guidato verso una rivalutazione del problema dell'alterità, e del suo spaziamento. In questo senso si è sentito la necessità di formulare una topologia, d’intendere il campo all’interno di un diagramma, che ci ha permesso di ricostruire le scene architettoniche del potere; di scorgere nei processi di soggettivizzazione l’indispensabile di una relazione primaria con il fuori, il suo ripiegamento e dispiegamento nel corpo e nell'anima (Deleuze). Da un altro verso, l’inquadrare il concetto di campo all'interno di una carica eterotopica, è stato fondamentale. L'Eterotopia, in Foucault è un altro luogo, ed evoca un potere particolare: quello di far convergere più dimensioni, nell’univocità di un punto spaziale. Nello spazio etero tropico, l'altrove reale o immaginato, si situa sempre in relazione con un qui, sia questo un vissuto incarnato dal gioco di un bimbo che immagina le sfaccettature di un altrove le onde del mare, che si materializza nel lettone dei genitori, o la 5 concretezza di un luogo fisico, la soglia, l'anticamera da cui si deve passare per dare un risvolto significativo ad un processo. In ultima analisi, ho voluto dare un'impronta fortemente postcolonialista a questo discorso, perché il campo che forse ha avuto in Auschwitz l'esempio più mostruosamente eclatante ha dei tristi precedenti nelle colonie. In questo snodo, suggerito dall'excursus storico di Kotek e Rigoulot all'interno della forma campo ho provato a stabilire come la colonia, intesa come un particolare rapporto in cui si esercitano la forza ed il potere (Mbembe), possa sovrapporsi al campo inteso a sua volta come l'esercizio di un potere di spossessamento. Per far ciò, ho dovuto lavorare molto sulle premesse, e ho trovato nella genealogia un'importante metodo d'indagine concettuale. L'intento era quello di ricostruire le scene primordiali del politico, eviscerare quel grado zero a partire da cui possono essere ripensate le possibilità delle soggettivizzazioni, un nuovo respiro, la sfera della possibilità ed il suo eventuale. In fondo, tutta la questione può riassumersi in una micro-storia genealogica in cui divengono protagoniste le categorie di spazio e potere, e come queste interpretano un ruolo in modo attivo, all’interno di una storia in cui è nel rimosso che si deve insistere per poter pensare.

Sciabica, . (2014). TRA SPAZIO E POTERE. IL CAMPO, LA RAPPRESENTAZIONE DEL VIVENTE ED IL GRADO ZERO DEL POLITICO.

TRA SPAZIO E POTERE. IL CAMPO, LA RAPPRESENTAZIONE DEL VIVENTE ED IL GRADO ZERO DEL POLITICO

SCIABICA, Giorgio Elio
2014-04-08

Abstract

In questo lavoro ho provato a partire da un concetto, il campo, a mappare un percorso filosofico-politico. Questo tentativo non è stato semplice e ha richiesto non solo una formale ricostruzione del concetto di campo in sé, della sua appartenenza ad una serie di autori, come la Arendt e Agamben che l'hanno modulato a partire da un'analisi dei totalitarismi, oppure ricondotto all'interno di una sovrapposizione tra politica totalitaria e politica della vita (biopolitica), ma ha anche richiesto una ricostruzione delle scene del campo, delle sue condizioni strutturali, che ho individuato nel concetto di sovranità (Agamben-Schmitt-Foucault) e nel problema della rappresentanza (Esposito-Hobbes). Tuttavia, limitarsi ad esporre il problema del campo in relazione ad un discorso sulla sovranità sarebbe stato troppo riduttivo. Avremmo perso altre questioni, che lo attraversano e che ineriscono, a chi fa e a chi ha fatto esperienza del campo, il cosiddetto Mussulmano. Questo mi ha portato su altri nodi concettuali che ho intravisto, nel problema del sé e dell'altro, nel come sia tortuoso, a volte impossibile il suo costituirsi come soggetto. Problemi che in sé recano il tema della soggettivizzazione (Foucault) e del concatenamento (Deleuze), intersezione in cui ho sentito l'esigenza di tematizzare l'antropologia di ciò che Agamben ha chiamato Homo Sacer una presenza ricavata dalla Benjaminiana nozione di Nuda Vita. In un certo senso, in questa nozione ho avvertito un'inadeguatezza, il limite di descrivere uno stato di spossessamento (Butler) e di passività nei confronti di un potere, inteso come forza sovrana-necropolitica e non pensato all’interno di un rapporto di forze (Deleuze-Nietzsche-Foucault). Queste sono le topiche che hanno animato il percorso della mia ricerca, dal punto di vista concettuale. Ma interrogarsi su ‘chi’ può fare esperienza del campo, su ‘chi’ entra in questa soglia in cui la politicità dell'uomo è stretta al centro tra natura e animalità ed coinvolta nell’articolazione complessa della forza, e delle forze e nel rapporto che queste hanno col diritto (Derrida), ci ha guidato verso una rivalutazione del problema dell'alterità, e del suo spaziamento. In questo senso si è sentito la necessità di formulare una topologia, d’intendere il campo all’interno di un diagramma, che ci ha permesso di ricostruire le scene architettoniche del potere; di scorgere nei processi di soggettivizzazione l’indispensabile di una relazione primaria con il fuori, il suo ripiegamento e dispiegamento nel corpo e nell'anima (Deleuze). Da un altro verso, l’inquadrare il concetto di campo all'interno di una carica eterotopica, è stato fondamentale. L'Eterotopia, in Foucault è un altro luogo, ed evoca un potere particolare: quello di far convergere più dimensioni, nell’univocità di un punto spaziale. Nello spazio etero tropico, l'altrove reale o immaginato, si situa sempre in relazione con un qui, sia questo un vissuto incarnato dal gioco di un bimbo che immagina le sfaccettature di un altrove le onde del mare, che si materializza nel lettone dei genitori, o la 5 concretezza di un luogo fisico, la soglia, l'anticamera da cui si deve passare per dare un risvolto significativo ad un processo. In ultima analisi, ho voluto dare un'impronta fortemente postcolonialista a questo discorso, perché il campo che forse ha avuto in Auschwitz l'esempio più mostruosamente eclatante ha dei tristi precedenti nelle colonie. In questo snodo, suggerito dall'excursus storico di Kotek e Rigoulot all'interno della forma campo ho provato a stabilire come la colonia, intesa come un particolare rapporto in cui si esercitano la forza ed il potere (Mbembe), possa sovrapporsi al campo inteso a sua volta come l'esercizio di un potere di spossessamento. Per far ciò, ho dovuto lavorare molto sulle premesse, e ho trovato nella genealogia un'importante metodo d'indagine concettuale. L'intento era quello di ricostruire le scene primordiali del politico, eviscerare quel grado zero a partire da cui possono essere ripensate le possibilità delle soggettivizzazioni, un nuovo respiro, la sfera della possibilità ed il suo eventuale. In fondo, tutta la questione può riassumersi in una micro-storia genealogica in cui divengono protagoniste le categorie di spazio e potere, e come queste interpretano un ruolo in modo attivo, all’interno di una storia in cui è nel rimosso che si deve insistere per poter pensare.
8-apr-2014
campo
Sciabica, . (2014). TRA SPAZIO E POTERE. IL CAMPO, LA RAPPRESENTAZIONE DEL VIVENTE ED IL GRADO ZERO DEL POLITICO.
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