Lo studio riguarda la committenza dei Ventimiglia, un’importante famiglia aristocratica di origine ligure, protagonista di larga parte della storia siciliana medievale, con la finalità di approfondire il legame tra il casato e la città di Cefalù, posta sulla costa tirrenica della Sicilia. Il centro, di antica origine, deve la sua prosperità e notorietà alla fondazione nel 1131 della cattedrale a opera del primo re di Sicilia, il normanno Ruggero II, e alla conseguente istituzione di una nuova sede vescovile, in posizione baricentrica tra le grandi diocesi di Palermo e Messina, nello spartiacque tra la parte occidentale e orientale dell’isola. I Ventimiglia, tra i più antichi casati nobiliari siciliani, sebbene fossero titolari di una vasta signoria nell’entroterra cefaludese, sul complesso montuoso delle Madonie, comprendente molti centri abitati, sin dal loro arrivo in Sicilia, alla metà del Duecento, hanno mostrato un vivo interesse per la città portuale di Cefalù, fino ad allora esclusivo appannaggio del vescovo locale. I giudizi antitetici che le fonti storiche hanno tramandato su di loro, definiti «defensores et filii spirituales» della Chiesa cefaludese e al contempo tiranni, «semper invasor rerum ecclesiasticarum», restituiscono in modo esemplare i due lati della stessa medaglia, che bene esemplifica il complesso rapporto tra le due maggiori forze presenti in città nel medioevo. Di fatto l'insediamento dei Ventimiglia si è attuato proprio a danno dei possedimenti e dei diritti della Chiesa e la loro presenza risulta così determinante nelle vita politica e sociale, che la storia della città, dalla metà del XIII secolo alla metà del XV, può identificarsi con le vicende del casato. L’arco temporale preso in esame è compreso tra la metà del Duecento, al tempo dell’arrivo in Sicilia dei primi esponenti della famiglia, e la fine del Trecento, quando, ristabilita l’autorità regia dopo una lunga fase di anarchia feudale, i Ventimiglia spostarono i loro interessi verso le città feudali dell’entroterra e poi verso Palermo, la capitale del regno. I capisaldi cronologici sono stati fissati nel 1247, probabile anno del matrimonio di Enrico, conte della città ligure di Ventimiglia, con Isabella Candida, erede del dominio territoriale madonita, primo nucleo della futura contea ventimigliana e nel 1398, anno in cui Antonio, uno degli ultimi esponenti della famiglia presenti in città, dopo aver occupato militarmente Cefalù ottenne l’indulto dal re Martino I d’Aragona. Dal quadro delle vicende sociali e urbane cefaludesi di questo periodo emergono come personaggi chiave Enrico Ventimiglia e il nipote Francesco II; il primo, forte del sostegno degli ultimi esponenti della dinastia sveva in Sicilia e in particolare di re Manfredi, depredò molti dei beni e dei proventi chiesastici, ma al contempo fu anche il committente dei lavori che conclusero il lunghissimo cantiere della cattedrale nel 1267 e la sua residenza cittadina, l’Osterio magno, palesò in forme concrete il nuovo potere laico presente in città. Nel secolo successivo, epoca dell’ascesa delle grandi famiglie feudali siciliane, la Chiesa cefaludese subì un’ulteriore erosione delle sue prerogative sul territorio e i Ventimiglia acquisirono il pieno controllo della città con Francesco II, che nel 1358 assunse la capitania di Cefalù. Obiettivo dello studio è stato quindi l’individuazione delle possibili ricadute sull’assetto urbano e sui principali manufatti architettonici, finora tracciate a grandi linee dalla storiografia e fuori dal quadro complessivo della storia familiare, nel tentativo di delineare un bilancio della committenza architettonica e artistica dei Ventimiglia a Cefalù. Le vedute urbane, come l’incisione di Benedetto Passafiume del 1645 [fig.5], ancora in epoca moderna evidenziano le due più rappresentative emergenze architettoniche della città: la cattedrale e l’Osterio magno, che spiccano nettamente dal restante tessuto urbano e segnano le due polarità contrapposte, ecclesiastica l’una e laica l’altra, teatro delle vicende che in più occasioni videro protagonisti i Ventimiglia e che sono oggetto principale di questo studio. La cattedrale, frutto della felice stagione architettonica inaugurata in Sicilia dai Normanni, presenta nella sua lunga e complessa storia costruttiva molti nodi problematici e irrisolti; nella rilevante mole di studi, avviati sin dal XIX secolo, si avverte come il prestigio della fondazione normanna abbia relegato in una posizione marginale le fasi conclusive del cantiere, riguardo al quale i Ventimiglia risultano invece aver avuto un ruolo molto rilevante. La fine della dinastia normanna aveva, infatti, determinato una fase di stasi nel cantiere, che si sarebbe protratto fino alla metà del Duecento. La ripresa dei lavori risulta documentabile solo dopo il 1254, anno della nomina episcopale di Giovanni II, ma il committente di questi lavori di restauro e di completamento, che sfociarono nella consacrazione del 1267, non fu un ecclesiastico, bensì il nobile Enrico Ventimiglia. Sebbene nella letteratura storiografica egli sia ricordato solamente come promotore del restauro del tetto, intervento documentato da due iscrizioni paleografiche dipinte sulla passerella che corre lungo la navata mediana, alcuni significativi indizi suggeriscono un ruolo effettivo di maggiore importanza nella fabbrica. Le tavole della passerella, la cui decorazione pittorica segna uno stacco netto dal repertorio figurativo del soffitto di epoca normanna, mostrano alcuni disegni a carattere architettonico finora trascurati dalle critica, tra cui la facciata di un edificio ecclesiastico, affiancata dagli stemmi araldici ventimigliani; le evidenti assonanze con la parte superiore del prospetto costruito hanno indotto ad approfondire le ricerche anche in tale direzione, per verificare le possibili tangenze fra le raffigurazioni della passerella e il completamento della fabbrica. Nel quadro degli interventi duecenteschi, inoltre, si è cercato di sciogliere anche il nodo relativo alla cappella gentilizia del casato all’interno della cattedrale, documentata per tutta l’epoca medievale e smembrata dopo il Concilio di Trento. Investendo le cospicue ricchezze derivanti dai possedimenti madoniti e dalle usurpazioni sistematiche ai danni della Chiesa, i Ventimiglia riuscirono ad edificare una magniloquente dimora, nota come Osterio magno, lungo l’asse urbano maggiore, collegamento obbligato fra il piano della cattedrale e la porta principale della città. Notevolmente ridimensionata nell’estensione e trasformata da secolari manomissioni, la residenza conserva l’imponenza dell’edificio nobiliare del tempo, mostrando nelle fabbriche che si snodano ad angolo dell’antica via regia la complessità della sua storia costruttiva, ancora non del tutto chiarita. Si è rivelata l’urgenza, quindi, di fissare con maggiore precisione i limiti temporali relativi alle diverse fabbriche del complesso e individuare i modelli tipologici di riferimento e i possibili nessi con il contesto d’origine dei Ventimiglia. L’edificazione dell’Osterio magno, con le sue torri a cavallo della via principale, segnò un nuovo punto nodale e creò un nuovo fulcro nella compagine cittadina medievale, fino ad allora condensata attorno alla cattedrale, ma per comprendere appieno la strategia insediativa adottata dai Ventimiglia si è cercato di identificare e ubicare correttamente anche gli altri possedimenti citati dalle fonti documentarie: la torre sulle mura, il balneum con le sue sorgenti d’acqua, i giardini e le vigne. L’indirizzo metodologico seguito nella ricerca si è così snodato: la preliminare ricognizione delle fonti bibliografiche al fine di tracciare il bilancio storiografico sulle tematiche in esame, sebbene in taluni casi esse si siano rivelate ristrette all’ambito prettamente locale; la revisione critica delle fonti documentarie, a volte resa necessaria da interpretazioni forzate, spesso assorbite dalla tradizione storiografica; lo studio sistematico di diversi fondi archivistici, custoditi presso varie istituzioni; l’indagine diretta sui manufatti architettonici e l’analisi metrologica; la raccolta e l’esame delle fonti iconografiche inedite o poco studiate.

(2009). La committenza dei Ventimiglia a Cefalù: città e architettura. 1247 - 1398. (Tesi di dottorato, Università degli Studi di Palermo, 2009).

La committenza dei Ventimiglia a Cefalù: città e architettura. 1247 - 1398

ANTISTA, Giuseppe
2009-04-07

Abstract

Lo studio riguarda la committenza dei Ventimiglia, un’importante famiglia aristocratica di origine ligure, protagonista di larga parte della storia siciliana medievale, con la finalità di approfondire il legame tra il casato e la città di Cefalù, posta sulla costa tirrenica della Sicilia. Il centro, di antica origine, deve la sua prosperità e notorietà alla fondazione nel 1131 della cattedrale a opera del primo re di Sicilia, il normanno Ruggero II, e alla conseguente istituzione di una nuova sede vescovile, in posizione baricentrica tra le grandi diocesi di Palermo e Messina, nello spartiacque tra la parte occidentale e orientale dell’isola. I Ventimiglia, tra i più antichi casati nobiliari siciliani, sebbene fossero titolari di una vasta signoria nell’entroterra cefaludese, sul complesso montuoso delle Madonie, comprendente molti centri abitati, sin dal loro arrivo in Sicilia, alla metà del Duecento, hanno mostrato un vivo interesse per la città portuale di Cefalù, fino ad allora esclusivo appannaggio del vescovo locale. I giudizi antitetici che le fonti storiche hanno tramandato su di loro, definiti «defensores et filii spirituales» della Chiesa cefaludese e al contempo tiranni, «semper invasor rerum ecclesiasticarum», restituiscono in modo esemplare i due lati della stessa medaglia, che bene esemplifica il complesso rapporto tra le due maggiori forze presenti in città nel medioevo. Di fatto l'insediamento dei Ventimiglia si è attuato proprio a danno dei possedimenti e dei diritti della Chiesa e la loro presenza risulta così determinante nelle vita politica e sociale, che la storia della città, dalla metà del XIII secolo alla metà del XV, può identificarsi con le vicende del casato. L’arco temporale preso in esame è compreso tra la metà del Duecento, al tempo dell’arrivo in Sicilia dei primi esponenti della famiglia, e la fine del Trecento, quando, ristabilita l’autorità regia dopo una lunga fase di anarchia feudale, i Ventimiglia spostarono i loro interessi verso le città feudali dell’entroterra e poi verso Palermo, la capitale del regno. I capisaldi cronologici sono stati fissati nel 1247, probabile anno del matrimonio di Enrico, conte della città ligure di Ventimiglia, con Isabella Candida, erede del dominio territoriale madonita, primo nucleo della futura contea ventimigliana e nel 1398, anno in cui Antonio, uno degli ultimi esponenti della famiglia presenti in città, dopo aver occupato militarmente Cefalù ottenne l’indulto dal re Martino I d’Aragona. Dal quadro delle vicende sociali e urbane cefaludesi di questo periodo emergono come personaggi chiave Enrico Ventimiglia e il nipote Francesco II; il primo, forte del sostegno degli ultimi esponenti della dinastia sveva in Sicilia e in particolare di re Manfredi, depredò molti dei beni e dei proventi chiesastici, ma al contempo fu anche il committente dei lavori che conclusero il lunghissimo cantiere della cattedrale nel 1267 e la sua residenza cittadina, l’Osterio magno, palesò in forme concrete il nuovo potere laico presente in città. Nel secolo successivo, epoca dell’ascesa delle grandi famiglie feudali siciliane, la Chiesa cefaludese subì un’ulteriore erosione delle sue prerogative sul territorio e i Ventimiglia acquisirono il pieno controllo della città con Francesco II, che nel 1358 assunse la capitania di Cefalù. Obiettivo dello studio è stato quindi l’individuazione delle possibili ricadute sull’assetto urbano e sui principali manufatti architettonici, finora tracciate a grandi linee dalla storiografia e fuori dal quadro complessivo della storia familiare, nel tentativo di delineare un bilancio della committenza architettonica e artistica dei Ventimiglia a Cefalù. Le vedute urbane, come l’incisione di Benedetto Passafiume del 1645 [fig.5], ancora in epoca moderna evidenziano le due più rappresentative emergenze architettoniche della città: la cattedrale e l’Osterio magno, che spiccano nettamente dal restante tessuto urbano e segnano le due polarità contrapposte, ecclesiastica l’una e laica l’altra, teatro delle vicende che in più occasioni videro protagonisti i Ventimiglia e che sono oggetto principale di questo studio. La cattedrale, frutto della felice stagione architettonica inaugurata in Sicilia dai Normanni, presenta nella sua lunga e complessa storia costruttiva molti nodi problematici e irrisolti; nella rilevante mole di studi, avviati sin dal XIX secolo, si avverte come il prestigio della fondazione normanna abbia relegato in una posizione marginale le fasi conclusive del cantiere, riguardo al quale i Ventimiglia risultano invece aver avuto un ruolo molto rilevante. La fine della dinastia normanna aveva, infatti, determinato una fase di stasi nel cantiere, che si sarebbe protratto fino alla metà del Duecento. La ripresa dei lavori risulta documentabile solo dopo il 1254, anno della nomina episcopale di Giovanni II, ma il committente di questi lavori di restauro e di completamento, che sfociarono nella consacrazione del 1267, non fu un ecclesiastico, bensì il nobile Enrico Ventimiglia. Sebbene nella letteratura storiografica egli sia ricordato solamente come promotore del restauro del tetto, intervento documentato da due iscrizioni paleografiche dipinte sulla passerella che corre lungo la navata mediana, alcuni significativi indizi suggeriscono un ruolo effettivo di maggiore importanza nella fabbrica. Le tavole della passerella, la cui decorazione pittorica segna uno stacco netto dal repertorio figurativo del soffitto di epoca normanna, mostrano alcuni disegni a carattere architettonico finora trascurati dalle critica, tra cui la facciata di un edificio ecclesiastico, affiancata dagli stemmi araldici ventimigliani; le evidenti assonanze con la parte superiore del prospetto costruito hanno indotto ad approfondire le ricerche anche in tale direzione, per verificare le possibili tangenze fra le raffigurazioni della passerella e il completamento della fabbrica. Nel quadro degli interventi duecenteschi, inoltre, si è cercato di sciogliere anche il nodo relativo alla cappella gentilizia del casato all’interno della cattedrale, documentata per tutta l’epoca medievale e smembrata dopo il Concilio di Trento. Investendo le cospicue ricchezze derivanti dai possedimenti madoniti e dalle usurpazioni sistematiche ai danni della Chiesa, i Ventimiglia riuscirono ad edificare una magniloquente dimora, nota come Osterio magno, lungo l’asse urbano maggiore, collegamento obbligato fra il piano della cattedrale e la porta principale della città. Notevolmente ridimensionata nell’estensione e trasformata da secolari manomissioni, la residenza conserva l’imponenza dell’edificio nobiliare del tempo, mostrando nelle fabbriche che si snodano ad angolo dell’antica via regia la complessità della sua storia costruttiva, ancora non del tutto chiarita. Si è rivelata l’urgenza, quindi, di fissare con maggiore precisione i limiti temporali relativi alle diverse fabbriche del complesso e individuare i modelli tipologici di riferimento e i possibili nessi con il contesto d’origine dei Ventimiglia. L’edificazione dell’Osterio magno, con le sue torri a cavallo della via principale, segnò un nuovo punto nodale e creò un nuovo fulcro nella compagine cittadina medievale, fino ad allora condensata attorno alla cattedrale, ma per comprendere appieno la strategia insediativa adottata dai Ventimiglia si è cercato di identificare e ubicare correttamente anche gli altri possedimenti citati dalle fonti documentarie: la torre sulle mura, il balneum con le sue sorgenti d’acqua, i giardini e le vigne. L’indirizzo metodologico seguito nella ricerca si è così snodato: la preliminare ricognizione delle fonti bibliografiche al fine di tracciare il bilancio storiografico sulle tematiche in esame, sebbene in taluni casi esse si siano rivelate ristrette all’ambito prettamente locale; la revisione critica delle fonti documentarie, a volte resa necessaria da interpretazioni forzate, spesso assorbite dalla tradizione storiografica; lo studio sistematico di diversi fondi archivistici, custoditi presso varie istituzioni; l’indagine diretta sui manufatti architettonici e l’analisi metrologica; la raccolta e l’esame delle fonti iconografiche inedite o poco studiate.
7-apr-2009
Cefalù; Cattedrale; Ventimiglia; Medioevo; Osterio Magno
(2009). La committenza dei Ventimiglia a Cefalù: città e architettura. 1247 - 1398. (Tesi di dottorato, Università degli Studi di Palermo, 2009).
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