Negli anni Cinquanta del Novecento, la cultura giuridica europea convergeva su un terreno comune, avvitata intorno ad una questione cruciale, come paralizzata di fronte alla cosiddetta «crisi del diritto». Più che dal quadro politico, reso instabile da residue questioni irredentiste, da focolai di nazionalismo, dagli effetti della decolonizzazione, dalla tensione tra blocchi ideologici, lo sconforto e lo scetticismo derivavano dall’«immane crisi storica dell’umanità, rivelata dalle guerre mondiali» (Vittorio Emanuele Orlando), dal ricordo di quei regimi che, fra gli anni Venti e Quaranta, avevano abdicato ai princìpi dell’umana convivenza, calpestando, in nome di un cieco monismo, ogni forma di pluralismo. Dietro formule catastrofiche o catastrofiste, come «crisi» o «morte del diritto», si nascondeva quindi la crisi di uno specifico tipo storico di Stato, contro il quale si andavano via via appuntando le critiche. Le radici della crisi si annidavano nell’idea che il diritto potesse ridursi ad unità, nell’incapacità, tipica del modello liberale, di rilevare, rispettare e valorizzare la complessità sociale, il pluralismo ordinamentale, la pluralità di fonti. In crisi non era, né mai era stato, il diritto, ma la pretesa di ricondurre le sue manifestazioni concrete ad un monismo assolutizzante, che dallo Stato liberale, con la sua idea della legge quale espressione della volontà statuale, era confluita, sotto forme e con esiti diversi, nello Stato fascista e in quello nazionalsocialista. Lo Stato costituzionale di diritto avrebbe rappresentato la grande occasione per coniugare la certezza di una costituzione rigida e la concretezza di una società pluralistica, la determinatezza di norme certe e la storicità di un diritto ragionevole.

Mazzarella, F. (2012). Verso lo stato costituzionale di diritto. In F. Viola (a cura di), Lo Stato costituzionale di diritto e le insidie del pluralismo (pp. 27-49). Bologna : Il Mulino.

Verso lo stato costituzionale di diritto

MAZZARELLA, Ferdinando
2012-01-01

Abstract

Negli anni Cinquanta del Novecento, la cultura giuridica europea convergeva su un terreno comune, avvitata intorno ad una questione cruciale, come paralizzata di fronte alla cosiddetta «crisi del diritto». Più che dal quadro politico, reso instabile da residue questioni irredentiste, da focolai di nazionalismo, dagli effetti della decolonizzazione, dalla tensione tra blocchi ideologici, lo sconforto e lo scetticismo derivavano dall’«immane crisi storica dell’umanità, rivelata dalle guerre mondiali» (Vittorio Emanuele Orlando), dal ricordo di quei regimi che, fra gli anni Venti e Quaranta, avevano abdicato ai princìpi dell’umana convivenza, calpestando, in nome di un cieco monismo, ogni forma di pluralismo. Dietro formule catastrofiche o catastrofiste, come «crisi» o «morte del diritto», si nascondeva quindi la crisi di uno specifico tipo storico di Stato, contro il quale si andavano via via appuntando le critiche. Le radici della crisi si annidavano nell’idea che il diritto potesse ridursi ad unità, nell’incapacità, tipica del modello liberale, di rilevare, rispettare e valorizzare la complessità sociale, il pluralismo ordinamentale, la pluralità di fonti. In crisi non era, né mai era stato, il diritto, ma la pretesa di ricondurre le sue manifestazioni concrete ad un monismo assolutizzante, che dallo Stato liberale, con la sua idea della legge quale espressione della volontà statuale, era confluita, sotto forme e con esiti diversi, nello Stato fascista e in quello nazionalsocialista. Lo Stato costituzionale di diritto avrebbe rappresentato la grande occasione per coniugare la certezza di una costituzione rigida e la concretezza di una società pluralistica, la determinatezza di norme certe e la storicità di un diritto ragionevole.
2012
Settore IUS/19 - Storia Del Diritto Medievale E Moderno
Settore IUS/08 - Diritto Costituzionale
Mazzarella, F. (2012). Verso lo stato costituzionale di diritto. In F. Viola (a cura di), Lo Stato costituzionale di diritto e le insidie del pluralismo (pp. 27-49). Bologna : Il Mulino.
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