Nel presente lavoro si da atto di un processo diacronico che ha coinvolto la forma tardo-latina corātum e dei suoi continuatori in area romanza, con particolare riferimento alla Sicilia. Sia corata che il suo diminutivo coratella sono attestati in tutti i principali vocabolari della lingua italiana. De Mauro come primo significato di corata annota: “interiora, visceri degli animali”, come secondo significato attestato vi è “cuore”. Ritengo sia opportuno segnalare l’importanza dell’ordine in cui vengono disposti i significati perché sono interessanti per una tesi che svilupperò strada facendo e che riguarda, in questo caso, la maggior fortuna delle varie forme espressive a scapito delle forme e dei significati più neutri e lineari. Fin dal proliferare dell’uso del volgare in letteratura, la parola corata è ampiamente attestata. Ricopre significato di “interiora, visceri, sia umani che animali”. All’interno delle cavità splancniche, il termine viene usato indistintamente sia per indicare cuore e polmoni, posti al di sopra del diaframma, sia per indicare lo stomaco e le budella, posti sotto. Nel corso dei secoli si nota come il significato della parola si sposti verso il basso: il significato originario di “cuore” sfuma sempre più a scapito degli intestini. È dibattuto se corata sia “il neutro plurale del latino tardo corātum, forma ricostruita ed ampliamento di cor, cordis forse sul modello di ficātum” o forma attestata in una tabella devotionis del XIII secolo. Ovviamente la parola doveva avere già una sua fortuna nella tarda latinità, se è vero che da essa derivava già nel XII secolo l’antico francese corée, col significato tanto di “intestini” quanto di “sede del sentimento viscerale”. Poiché, secondo i repertori, continuatori di corātum si ritrovano diffusamente in Francia e poi sempre di meno spostandosi ai confini della Romània (non paiono interessare né l’area portoghese né quella romena), il centro di irradiazione dovrebbe essere in area gallo-italica. Fra i continuatori di corātum in Italia, a partire dall’estremo nord del ticinese corada, troviamo la forma di area lombardo - emiliana “corada” il romagnolo “korè”, il genovese kuà. In area centrale la forma lessicale corata è attestata nel pistoiese, nel romanesco di Castel Madama, e nel marchigiano, mentre nell’abruzzese-molisano troviamo curatë e nel logudorese corada. Nel ticinese e nel romagnolo il significato attestato è quello di fegato mentre nel marchigiano la parola assume il significato di “coraggio”, ma non si spiega se per analogia con il significato traslato di “fegato” che la parola assume nella vicina area romagnola o per contiguità ad una forma dialettale della parola “coraggio”. In area lombardo-emiliana il significato è principalmente quello di “polmone”. Infine il logudorese corada indica “cuore e polmoni del bue” È significativo come la forma positiva non risulti presente (o risulti comunque fortemente recessiva) in molti dialetti meridionali, dove prevale il diminutivo coratella. Nell’antico francese, coraille, visto come diretto derivato di cor, cordis gode di numerosissime attestazioni. Sulla diffusione in area romanza della forma diminutiva vale in buona sostanza quanto detto per la forma positiva. Il limite estremo è in Catalogna (coradella), che conferma una forma in antico spagnolo coradela. Va segnalata inoltre una forma provenzale coradella. In area italiana i tipi lessicali riconducibili a coratella hanno preso il sopravvento sulla forma corata soprattutto nel meridione, dove il significato si è anche arricchito di nuove connotazioni. Nei dialetti settentrionali e mediani i tipi lessicali riconducibili a coratella indicano soltanto gli organi posti al di sopra del diaframma. Poi, gradatamente fino ad arrivare in Sicilia, indicano quelli posti al di sotto del diaframma. Il friulano coradele indica il “polmone”, come in area gallo-italica 3 il positivo corada. Nel parmigiano, se corada aveva denotazione bovina, per coradèla si intende la “corata degli ovini”. Nel veneziano coraele ci riferisce a “cuore, fegato, polmone, rene, milza”, aggiungendo dunque ulteriori organi ma preservando quelli contenuti all’interno del peritoneo, che vanno esclusi anche per l’area marchigiana. Una tradizione gastronomica laziale è la coratella coi carciofi, piatto nel quale sono previste soltanto le frattaglie ricavate al di sopra del diaframma. In Romagna per curadëla si intendono gli organi interni “dei polli, degli altri uccelli e dell’agnello”. Questi vengono detti anche fegat (“fegat di pess, d’usell”), con una sineddoche, “perché i volatili, gli animali piccoli e i pesci non hanno il fegato distinto dalla coratella”. Nel Sud la forma diminutiva prende il sopravvento su quella positiva. A Napoli già alla fine del XIX secolo è attestato il lemma coratella, coi significati a noi noti, ma non corata. Negli stessi anni anche in Sicilia risulta presente soltanto la forma curatedda come significante di “le interiora come fegato, cuore ecc. degli animali piccoli, coratella” mentre corata è assente. I più moderni repertori siciliani e calabresi confermano questi dati attribuendo al lemma curatedda, (“corata, coratella e frattaglie”) maggior fortuna col significato di “interiora dell’agnello e del capretto”. Il fatto che il riferimento agli organi posti all’interno del grande omento emerga solo a partire dai repertori novecenteschi fa pensare che lo scivolamento semantico, anche in Sicilia, sia da collocarsi nel corso del XX secolo ed il raffronto con le ricerche più recenti è inequivocabile.

Burgio, M. (2010). “Da corātum a curatedda”. In M.A. Prantera N. (a cura di), Parole. Il lessico come strumento per organizzare e trasmettere gli etnosaperi..

“Da corātum a curatedda”

BURGIO, Michele
2010-01-01

Abstract

Nel presente lavoro si da atto di un processo diacronico che ha coinvolto la forma tardo-latina corātum e dei suoi continuatori in area romanza, con particolare riferimento alla Sicilia. Sia corata che il suo diminutivo coratella sono attestati in tutti i principali vocabolari della lingua italiana. De Mauro come primo significato di corata annota: “interiora, visceri degli animali”, come secondo significato attestato vi è “cuore”. Ritengo sia opportuno segnalare l’importanza dell’ordine in cui vengono disposti i significati perché sono interessanti per una tesi che svilupperò strada facendo e che riguarda, in questo caso, la maggior fortuna delle varie forme espressive a scapito delle forme e dei significati più neutri e lineari. Fin dal proliferare dell’uso del volgare in letteratura, la parola corata è ampiamente attestata. Ricopre significato di “interiora, visceri, sia umani che animali”. All’interno delle cavità splancniche, il termine viene usato indistintamente sia per indicare cuore e polmoni, posti al di sopra del diaframma, sia per indicare lo stomaco e le budella, posti sotto. Nel corso dei secoli si nota come il significato della parola si sposti verso il basso: il significato originario di “cuore” sfuma sempre più a scapito degli intestini. È dibattuto se corata sia “il neutro plurale del latino tardo corātum, forma ricostruita ed ampliamento di cor, cordis forse sul modello di ficātum” o forma attestata in una tabella devotionis del XIII secolo. Ovviamente la parola doveva avere già una sua fortuna nella tarda latinità, se è vero che da essa derivava già nel XII secolo l’antico francese corée, col significato tanto di “intestini” quanto di “sede del sentimento viscerale”. Poiché, secondo i repertori, continuatori di corātum si ritrovano diffusamente in Francia e poi sempre di meno spostandosi ai confini della Romània (non paiono interessare né l’area portoghese né quella romena), il centro di irradiazione dovrebbe essere in area gallo-italica. Fra i continuatori di corātum in Italia, a partire dall’estremo nord del ticinese corada, troviamo la forma di area lombardo - emiliana “corada” il romagnolo “korè”, il genovese kuà. In area centrale la forma lessicale corata è attestata nel pistoiese, nel romanesco di Castel Madama, e nel marchigiano, mentre nell’abruzzese-molisano troviamo curatë e nel logudorese corada. Nel ticinese e nel romagnolo il significato attestato è quello di fegato mentre nel marchigiano la parola assume il significato di “coraggio”, ma non si spiega se per analogia con il significato traslato di “fegato” che la parola assume nella vicina area romagnola o per contiguità ad una forma dialettale della parola “coraggio”. In area lombardo-emiliana il significato è principalmente quello di “polmone”. Infine il logudorese corada indica “cuore e polmoni del bue” È significativo come la forma positiva non risulti presente (o risulti comunque fortemente recessiva) in molti dialetti meridionali, dove prevale il diminutivo coratella. Nell’antico francese, coraille, visto come diretto derivato di cor, cordis gode di numerosissime attestazioni. Sulla diffusione in area romanza della forma diminutiva vale in buona sostanza quanto detto per la forma positiva. Il limite estremo è in Catalogna (coradella), che conferma una forma in antico spagnolo coradela. Va segnalata inoltre una forma provenzale coradella. In area italiana i tipi lessicali riconducibili a coratella hanno preso il sopravvento sulla forma corata soprattutto nel meridione, dove il significato si è anche arricchito di nuove connotazioni. Nei dialetti settentrionali e mediani i tipi lessicali riconducibili a coratella indicano soltanto gli organi posti al di sopra del diaframma. Poi, gradatamente fino ad arrivare in Sicilia, indicano quelli posti al di sotto del diaframma. Il friulano coradele indica il “polmone”, come in area gallo-italica 3 il positivo corada. Nel parmigiano, se corada aveva denotazione bovina, per coradèla si intende la “corata degli ovini”. Nel veneziano coraele ci riferisce a “cuore, fegato, polmone, rene, milza”, aggiungendo dunque ulteriori organi ma preservando quelli contenuti all’interno del peritoneo, che vanno esclusi anche per l’area marchigiana. Una tradizione gastronomica laziale è la coratella coi carciofi, piatto nel quale sono previste soltanto le frattaglie ricavate al di sopra del diaframma. In Romagna per curadëla si intendono gli organi interni “dei polli, degli altri uccelli e dell’agnello”. Questi vengono detti anche fegat (“fegat di pess, d’usell”), con una sineddoche, “perché i volatili, gli animali piccoli e i pesci non hanno il fegato distinto dalla coratella”. Nel Sud la forma diminutiva prende il sopravvento su quella positiva. A Napoli già alla fine del XIX secolo è attestato il lemma coratella, coi significati a noi noti, ma non corata. Negli stessi anni anche in Sicilia risulta presente soltanto la forma curatedda come significante di “le interiora come fegato, cuore ecc. degli animali piccoli, coratella” mentre corata è assente. I più moderni repertori siciliani e calabresi confermano questi dati attribuendo al lemma curatedda, (“corata, coratella e frattaglie”) maggior fortuna col significato di “interiora dell’agnello e del capretto”. Il fatto che il riferimento agli organi posti all’interno del grande omento emerga solo a partire dai repertori novecenteschi fa pensare che lo scivolamento semantico, anche in Sicilia, sia da collocarsi nel corso del XX secolo ed il raffronto con le ricerche più recenti è inequivocabile.
2010
Settore L-FIL-LET/12 - Linguistica Italiana
Burgio, M. (2010). “Da corātum a curatedda”. In M.A. Prantera N. (a cura di), Parole. Il lessico come strumento per organizzare e trasmettere gli etnosaperi..
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