La ricerca che in questa occasione assume la sua prima e parziale forma espositiva è indirizzata all’analisi del rapporto intercorrente tra l’attività definita “artistica” e il regime di accumulazione post-fordista. Con essa si propone dunque l’indagine del ruolo dei saperi e delle conoscenze, in particolare di quelli afferenti al campo artistico, nel processo di sussunzione biopolitica del lavoro alle leggi dell’accumulazione del capitale a partire dall’ipotesi del cosiddetto capitalismo cognitivo. Per appagare l’esigenza scientifica di definizione dell’oggetto indagato, all’interno di un quadro teorico e metodologico coerente, si cercherà in prima battuta di esporre la concezione materialistica dell’arte che è possibile rintracciare nelle opere di Karl Marx e Friedrich Engels, al fine di inquadrare il fatto culturale alla luce dei principi proposti dal materialismo storico; si indagheranno quindi il rapporto struttura-sovrastruttura e il ruolo storico delle forme ideologiche partendo dall’analisi che su questi temi hanno condotto Antonio Gramsci e Walter Benjamin; seguirà un’esplorazione del paradigma del capitalismo cognitivo che, come vedremo, sembra attribuire un ruolo di rilevanza ai saperi e agli elementi ideologici, anche critici, nel sistema produttivo; verranno infine indagate le pratiche del movimento antagonista affermatosi negli anni settanta in Italia e le strade che, partendo da una prospettiva materialistica, possono essere percorse, anche a mezzo dell’attività artistica, nel processo di trasformazione dei rapporti di produzione vigenti. Secondo l’ipotesi del materialismo storico l’arte, in una società divisa in classi, è una forma ideologica appartenente alla sovrastruttura culturale, determinata in ultima istanza dalla base economica e influenzata da una specifica tradizione. Secondo i modi del condizionamento ideologico rintracciati dal materialismo storico, le “idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti [...]. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale”1. Il concetto di ideologia, così come è espresso ne L’ideologia tedesca, sembra assumere un’accezione negativa, in quanto visione parziale della realtà, propria di una classe e funzionale ai bisogni e alle aspirazioni di questa ma proposta e, nel caso della classe dominante, imposta come verità universale: tale concetto definirebbe l’arte, almeno nelle occasioni maggiormente “valorizzate” nella storia, come espressione delle idee dominanti, e dunque “espressione ideale dei rapporti materiali dominanti”2. Al mutamento della base economica dovrebbe “sconvolgersi” la sovrastruttura culturale determinata dalla struttura precedente la trasformazione, ma questo processo, inevitabile in ultima istanza, trova resistenze nelle costanti della tradizione che caratterizzano le varie forme ideologiche: a questo proposito Engels afferma, in riferimento alla filosofia, che essa in “ogni epoca presuppone un determinato materiale di pensiero, che le è stato trasmesso dai suoi predecessori e da cui essa parte”3. L’azione che la sovrastruttura, e dunque l’insieme delle forme ideologiche che la costituiscono, esercita sulla base economica è un fatto più volte constatato dalla critica marxista e sul quale si basa ogni opposizione alle applicazioni meccanicistiche e “volgari” del materialismo storico: già Marx, nella Prefazione del 1859 a Per la critica dell’economia politica, nella quale espone concisamente le tesi sulla concezione materialistica della storia, afferma che nelle epoche rivoluzionarie, determinate dalla contraddizione tra forze produttive della società e rapporti di produzione esistenti, “le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche […] permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo”4, constatando in tal modo l’importanza degli elementi sovrastrutturali nella lotta di classe e, dunque, nel processo storico da essa mosso5, che sarà un caposaldo della teorizzazione gramsciana e dell’elaborazione concettuale di Walter Benjamin. Durante gli anni della sua detenzione nelle carceri fasciste Antonio Gramsci definiva, nei propri quaderni, il carattere attivo delle ideologie, e tacciava di “infantilismo primitivo”6 il materialismo storico meccanicistico così come ogni pretesa di rintracciare nella sovrastruttura il riflesso immediato della base reale: le ideologie infatti, se sono storicamente organiche, per il dirigente comunista sardo possono formare “il terreno in cui gli uomini […] acquistano coscienza della loro posizione, lottano”7. Riferendosi in particolare alla filosofia, Gramsci afferma che il suo valore storico risiede nella sua capacità di intervento sociale, negli effetti che essa produce8: questi sarebbero dunque gli elementi che nel campo ideologico permettono di distinguere, a posteriori, la filosofia come “fatto storico” dalle “elucubrazioni” individuali e arbitrarie9, incapaci di reagire sulla società. Nell’ipotesi gramsciana la filosofia è ideologia che può trasformare la realtà se non viene slegata dalla prassi, e che nell’unità teorico-pratica, come già indicava Marx nelle Tesi su Feuerbach, può trovare il suo carattere rivoluzionario, la sua “natura”: essa infatti “deve diventare politica per inverarsi, per continuare ad essere filosofia”10. Walter Benjamin indagava negli stessi anni, e da una prospettiva simile, il potenziale rivoluzionario della diffusione di massa del fatto artistico riprodotto tecnicamente, dunque le possibilità di intervento sociale che si aprivano all’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica. Nell’insieme dei contributi afferenti allo studio della natura ideologica delle produzioni culturali, il suo saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, pubblicato nel 1936, emerge per l’esposizione di una tesi la cui validità può essere verificata, come si vedrà in seguito, in un’analisi dei fenomeni a noi contemporanei che faccia ricorso a quei concetti: strumenti utili sia all’indagine del rapporto intercorrente tra modo di produzione, movimenti antagonisti, mezzi di comunicazione di massa e arte, sia, come afferma lo stesso Benjamin, a ipotesi di trasformazione dell’esistente che non trascurino il livello sovrastrutturale, in quanto “essi sono utilizzabili per la formulazione di esigenze rivoluzionarie nella politica culturale”11. Mosso dall’intenzione di fondare la premessa a una teoria materialistica dell’arte, Benjamin propone in questo saggio una tesi che può essere così esposta: nelle condizioni di produzione a lui contemporanee, la riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, annullando l’aura che avvolgeva l’oggetto unico e raggiungendo le masse, favoriva una riflessione che problematizzava i concetti idealistici di creatività, genialità, valore eterno, e si offriva come possibile strumento di trasformazione nelle mani del movimento rivoluzionario. Anche nella teorizzazione dell’intellettuale tedesco, come in Gramsci, il passaggio che consente di liberare la forma ideologica dalla passività o, nella prospettiva rivoluzionaria, dal suo fine di conservazione della società, è di carattere politico: di fronte all’estetizzazione della politica attuata dal fascismo, il movimento comunista risponde, secondo Benjamin, “con la politicizzazione dell’arte”12. Secondo l’ipotesi del capitalismo cognitivo, l’attuale sistema economico sarebbe fondato “sulla conoscenza inquadrata e sussunta alle leggi dell’accumulazione del capitale”13. Per comprendere i modi di tale sussunzione14 è necessario esporre le caratteristiche peculiari dell’attuale sistema produttivo in relazione alle precedenti fasi del capitalismo, e le condizioni storiche e sociali in cui esso si è affermato. Il nuovo paradigma produttivo, emergente già negli anni cinquanta in Giappone15, afferma il suo dominio globale negli anni settanta, in una fase di crisi strutturale della società fordista: la saturazione del mercato dei prodotti di massa, la sua internazionalizzazione e il conseguente aumento della competizione, l’instabilità degli equilibri geopolitici16 e l’intensificata attività di contestazione e di critica al sistema si configuravano come testimonianze dell’impossibilità strutturale, per il sistema fordista, “di mantenere l’efficacia delle sue logiche di sviluppo economico”17, le cui potenzialità erano da considerarsi, ideologicamente, illimitate. La peculiarità della riconfigurazione post-fordista, che mira al superamento di queste contraddizioni, può essere rintracciata nel principio base della flessibilità18, che caratterizza il nuovo “nucleo tecnologico”19 e le forme del lavoro subordinato, e che garantisce alle imprese la possibilità di adattamento alle mutevoli richieste del mercato. Emerge un tipo di produzione immateriale: nel nuovo sistema produttivo il principale valore della merce è di carattere estetico e simbolico20. Esso è il risultato di un rapporto domanda-offerta che, in questa fase del capitalismo, mostra con maggiore evidenza il suo carattere dialettico. Nel nuovo regime di accumulazione, infatti, la distanza che divide produttori e consumatori sembra accorciarsi e, tendenzialmente, svanire21. Il sapere sociale, che già Marx individuava come forza di produzione necessaria ai successivi sviluppi del capitalismo22, “diventa una fondamentale risorsa produttiva”23 se viene subordinato ai modi dell’accumulazione del capitale. Tale processo viene realizzato, se si analizza una delle sue configurazioni paradigmatiche, anche attraverso l’applicazione e la diffusione sociale di strumenti tecnologici specifici definibili strumenti di sussunzione delle forme, anche artistiche, positive e critiche dell’immaginario, che vanno inquadrati nella rete dei dispositivi24. L’appetibilità degli strumenti utilizzati e messi a disposizione dall’impresa post-fordista è garantita dalla diffusione sociale delle pratiche artistiche emersa insieme all’evoluzione delle tecnologie elettroniche e informatiche e dei mezzi della comunicazione. La partecipazione spontanea alla realizzazione delle caratteristiche estetiche delle automobili attraverso software liberamente utilizzabili nel web25, o alla produzione di spot indirizzati all’auto-promozione del target di un’emittente televisiva26, configura il consumatore partecipante come produttore volontario, non retribuito, paradossalmente motivato27. Tale paradosso può essere spiegato con l’emersione di quel bisogno di certificazione della propria identità che nei social network trova la sua espressione più evidente28. Il consumatore, nell’ipotesi di Vanni Codeluppi, diventa produttore in quanto “produce continuamente quel sapere comune che si alimenta degli scambi reciproci tra le persone ed è fondamentale per lo sviluppo del sistema economico”29, partecipa “alla produzione dell’immaginario collettivo […], di quella materia prima di tipo culturale ed espressivo da cui devono necessariamente attingere le imprese per costruire e riempire di contenuti gli specifici mondi comunicativi dei loro prodotti e delle loro marche”30, svolge “una parte del lavoro che in precedenza veniva svolto dall’impresa per lui”31. Le imprese attingono dalle attività e dalle produzioni artistiche dei singoli e delle avanguardie culturali “per creare e innovare i loro prodotti, i loro linguaggi, quindi per produrre valore economico”32, all’interno di “quel processo che sussume realmente […] l’intero agire umano ai fini dell’accumulazione”33 e che viene definito da Andrea Fumagalli bioeconomia: “quando il lavoro fuoriesce dai confini della fabbrica e la vita viene messa in produzione, diventa sempre più difficile […] separare il tempo di produzione dal tempo di riproduzione, il tempo di lavoro dal tempo libero. […] l’intera moltitudine è, volente o nolente, produttiva”34. Alle fasi della sussunzione formale del lavoro al capitale, sviluppatasi tra il XVI e il XVIII secolo, e della sussunzione reale, avviata dalla rivoluzione industriale35, seguirebbe dunque l’età della sussunzione biopolitica36. Questa è onnipervasiva e coinvolgerebbe anche le critiche al sistema che si esprimono nelle forme culturali e politiche: il processo di mercificazione delle tendenze critiche e trasgressive, per Federico Chicchi, è anzi fondamentale per un sistema economico che, in tal modo, si garantisce l’edulcorazione delle forme di contestazione37 e un continuo rinnovamento dei linguaggi culturali, utili per la valorizzazione della merce. Un’analisi delle culture antagoniste38 emerse nei paesi capitalistici negli ultimi decenni, ovvero nel periodo di affermazione del nuovo paradigma produttivo dominante, potrebbe aiutare a chiarire il rapporto tra arte e capitale, perché con essa si osserverebbero l’attività programmaticamente rivoluzionaria, la sua relazione con il regime di accumulazione contemporaneo e gli eventuali effetti reali che essa ha determinato. A tal fine si condurrà uno studio sulla produzione culturale del movimento del ’77 italiano.

MARISCALCO, D. (2011). Arte, sapere e sussunzione biopolitica nell’età del capitalismo cognitivo. In Biopolitik,Bioökonomie,Biopoetik im Zeichen der Krisis.

Arte, sapere e sussunzione biopolitica nell’età del capitalismo cognitivo

MARISCALCO, Danilo
2011-01-01

Abstract

La ricerca che in questa occasione assume la sua prima e parziale forma espositiva è indirizzata all’analisi del rapporto intercorrente tra l’attività definita “artistica” e il regime di accumulazione post-fordista. Con essa si propone dunque l’indagine del ruolo dei saperi e delle conoscenze, in particolare di quelli afferenti al campo artistico, nel processo di sussunzione biopolitica del lavoro alle leggi dell’accumulazione del capitale a partire dall’ipotesi del cosiddetto capitalismo cognitivo. Per appagare l’esigenza scientifica di definizione dell’oggetto indagato, all’interno di un quadro teorico e metodologico coerente, si cercherà in prima battuta di esporre la concezione materialistica dell’arte che è possibile rintracciare nelle opere di Karl Marx e Friedrich Engels, al fine di inquadrare il fatto culturale alla luce dei principi proposti dal materialismo storico; si indagheranno quindi il rapporto struttura-sovrastruttura e il ruolo storico delle forme ideologiche partendo dall’analisi che su questi temi hanno condotto Antonio Gramsci e Walter Benjamin; seguirà un’esplorazione del paradigma del capitalismo cognitivo che, come vedremo, sembra attribuire un ruolo di rilevanza ai saperi e agli elementi ideologici, anche critici, nel sistema produttivo; verranno infine indagate le pratiche del movimento antagonista affermatosi negli anni settanta in Italia e le strade che, partendo da una prospettiva materialistica, possono essere percorse, anche a mezzo dell’attività artistica, nel processo di trasformazione dei rapporti di produzione vigenti. Secondo l’ipotesi del materialismo storico l’arte, in una società divisa in classi, è una forma ideologica appartenente alla sovrastruttura culturale, determinata in ultima istanza dalla base economica e influenzata da una specifica tradizione. Secondo i modi del condizionamento ideologico rintracciati dal materialismo storico, le “idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti [...]. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale”1. Il concetto di ideologia, così come è espresso ne L’ideologia tedesca, sembra assumere un’accezione negativa, in quanto visione parziale della realtà, propria di una classe e funzionale ai bisogni e alle aspirazioni di questa ma proposta e, nel caso della classe dominante, imposta come verità universale: tale concetto definirebbe l’arte, almeno nelle occasioni maggiormente “valorizzate” nella storia, come espressione delle idee dominanti, e dunque “espressione ideale dei rapporti materiali dominanti”2. Al mutamento della base economica dovrebbe “sconvolgersi” la sovrastruttura culturale determinata dalla struttura precedente la trasformazione, ma questo processo, inevitabile in ultima istanza, trova resistenze nelle costanti della tradizione che caratterizzano le varie forme ideologiche: a questo proposito Engels afferma, in riferimento alla filosofia, che essa in “ogni epoca presuppone un determinato materiale di pensiero, che le è stato trasmesso dai suoi predecessori e da cui essa parte”3. L’azione che la sovrastruttura, e dunque l’insieme delle forme ideologiche che la costituiscono, esercita sulla base economica è un fatto più volte constatato dalla critica marxista e sul quale si basa ogni opposizione alle applicazioni meccanicistiche e “volgari” del materialismo storico: già Marx, nella Prefazione del 1859 a Per la critica dell’economia politica, nella quale espone concisamente le tesi sulla concezione materialistica della storia, afferma che nelle epoche rivoluzionarie, determinate dalla contraddizione tra forze produttive della società e rapporti di produzione esistenti, “le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche […] permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo”4, constatando in tal modo l’importanza degli elementi sovrastrutturali nella lotta di classe e, dunque, nel processo storico da essa mosso5, che sarà un caposaldo della teorizzazione gramsciana e dell’elaborazione concettuale di Walter Benjamin. Durante gli anni della sua detenzione nelle carceri fasciste Antonio Gramsci definiva, nei propri quaderni, il carattere attivo delle ideologie, e tacciava di “infantilismo primitivo”6 il materialismo storico meccanicistico così come ogni pretesa di rintracciare nella sovrastruttura il riflesso immediato della base reale: le ideologie infatti, se sono storicamente organiche, per il dirigente comunista sardo possono formare “il terreno in cui gli uomini […] acquistano coscienza della loro posizione, lottano”7. Riferendosi in particolare alla filosofia, Gramsci afferma che il suo valore storico risiede nella sua capacità di intervento sociale, negli effetti che essa produce8: questi sarebbero dunque gli elementi che nel campo ideologico permettono di distinguere, a posteriori, la filosofia come “fatto storico” dalle “elucubrazioni” individuali e arbitrarie9, incapaci di reagire sulla società. Nell’ipotesi gramsciana la filosofia è ideologia che può trasformare la realtà se non viene slegata dalla prassi, e che nell’unità teorico-pratica, come già indicava Marx nelle Tesi su Feuerbach, può trovare il suo carattere rivoluzionario, la sua “natura”: essa infatti “deve diventare politica per inverarsi, per continuare ad essere filosofia”10. Walter Benjamin indagava negli stessi anni, e da una prospettiva simile, il potenziale rivoluzionario della diffusione di massa del fatto artistico riprodotto tecnicamente, dunque le possibilità di intervento sociale che si aprivano all’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica. Nell’insieme dei contributi afferenti allo studio della natura ideologica delle produzioni culturali, il suo saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, pubblicato nel 1936, emerge per l’esposizione di una tesi la cui validità può essere verificata, come si vedrà in seguito, in un’analisi dei fenomeni a noi contemporanei che faccia ricorso a quei concetti: strumenti utili sia all’indagine del rapporto intercorrente tra modo di produzione, movimenti antagonisti, mezzi di comunicazione di massa e arte, sia, come afferma lo stesso Benjamin, a ipotesi di trasformazione dell’esistente che non trascurino il livello sovrastrutturale, in quanto “essi sono utilizzabili per la formulazione di esigenze rivoluzionarie nella politica culturale”11. Mosso dall’intenzione di fondare la premessa a una teoria materialistica dell’arte, Benjamin propone in questo saggio una tesi che può essere così esposta: nelle condizioni di produzione a lui contemporanee, la riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, annullando l’aura che avvolgeva l’oggetto unico e raggiungendo le masse, favoriva una riflessione che problematizzava i concetti idealistici di creatività, genialità, valore eterno, e si offriva come possibile strumento di trasformazione nelle mani del movimento rivoluzionario. Anche nella teorizzazione dell’intellettuale tedesco, come in Gramsci, il passaggio che consente di liberare la forma ideologica dalla passività o, nella prospettiva rivoluzionaria, dal suo fine di conservazione della società, è di carattere politico: di fronte all’estetizzazione della politica attuata dal fascismo, il movimento comunista risponde, secondo Benjamin, “con la politicizzazione dell’arte”12. Secondo l’ipotesi del capitalismo cognitivo, l’attuale sistema economico sarebbe fondato “sulla conoscenza inquadrata e sussunta alle leggi dell’accumulazione del capitale”13. Per comprendere i modi di tale sussunzione14 è necessario esporre le caratteristiche peculiari dell’attuale sistema produttivo in relazione alle precedenti fasi del capitalismo, e le condizioni storiche e sociali in cui esso si è affermato. Il nuovo paradigma produttivo, emergente già negli anni cinquanta in Giappone15, afferma il suo dominio globale negli anni settanta, in una fase di crisi strutturale della società fordista: la saturazione del mercato dei prodotti di massa, la sua internazionalizzazione e il conseguente aumento della competizione, l’instabilità degli equilibri geopolitici16 e l’intensificata attività di contestazione e di critica al sistema si configuravano come testimonianze dell’impossibilità strutturale, per il sistema fordista, “di mantenere l’efficacia delle sue logiche di sviluppo economico”17, le cui potenzialità erano da considerarsi, ideologicamente, illimitate. La peculiarità della riconfigurazione post-fordista, che mira al superamento di queste contraddizioni, può essere rintracciata nel principio base della flessibilità18, che caratterizza il nuovo “nucleo tecnologico”19 e le forme del lavoro subordinato, e che garantisce alle imprese la possibilità di adattamento alle mutevoli richieste del mercato. Emerge un tipo di produzione immateriale: nel nuovo sistema produttivo il principale valore della merce è di carattere estetico e simbolico20. Esso è il risultato di un rapporto domanda-offerta che, in questa fase del capitalismo, mostra con maggiore evidenza il suo carattere dialettico. Nel nuovo regime di accumulazione, infatti, la distanza che divide produttori e consumatori sembra accorciarsi e, tendenzialmente, svanire21. Il sapere sociale, che già Marx individuava come forza di produzione necessaria ai successivi sviluppi del capitalismo22, “diventa una fondamentale risorsa produttiva”23 se viene subordinato ai modi dell’accumulazione del capitale. Tale processo viene realizzato, se si analizza una delle sue configurazioni paradigmatiche, anche attraverso l’applicazione e la diffusione sociale di strumenti tecnologici specifici definibili strumenti di sussunzione delle forme, anche artistiche, positive e critiche dell’immaginario, che vanno inquadrati nella rete dei dispositivi24. L’appetibilità degli strumenti utilizzati e messi a disposizione dall’impresa post-fordista è garantita dalla diffusione sociale delle pratiche artistiche emersa insieme all’evoluzione delle tecnologie elettroniche e informatiche e dei mezzi della comunicazione. La partecipazione spontanea alla realizzazione delle caratteristiche estetiche delle automobili attraverso software liberamente utilizzabili nel web25, o alla produzione di spot indirizzati all’auto-promozione del target di un’emittente televisiva26, configura il consumatore partecipante come produttore volontario, non retribuito, paradossalmente motivato27. Tale paradosso può essere spiegato con l’emersione di quel bisogno di certificazione della propria identità che nei social network trova la sua espressione più evidente28. Il consumatore, nell’ipotesi di Vanni Codeluppi, diventa produttore in quanto “produce continuamente quel sapere comune che si alimenta degli scambi reciproci tra le persone ed è fondamentale per lo sviluppo del sistema economico”29, partecipa “alla produzione dell’immaginario collettivo […], di quella materia prima di tipo culturale ed espressivo da cui devono necessariamente attingere le imprese per costruire e riempire di contenuti gli specifici mondi comunicativi dei loro prodotti e delle loro marche”30, svolge “una parte del lavoro che in precedenza veniva svolto dall’impresa per lui”31. Le imprese attingono dalle attività e dalle produzioni artistiche dei singoli e delle avanguardie culturali “per creare e innovare i loro prodotti, i loro linguaggi, quindi per produrre valore economico”32, all’interno di “quel processo che sussume realmente […] l’intero agire umano ai fini dell’accumulazione”33 e che viene definito da Andrea Fumagalli bioeconomia: “quando il lavoro fuoriesce dai confini della fabbrica e la vita viene messa in produzione, diventa sempre più difficile […] separare il tempo di produzione dal tempo di riproduzione, il tempo di lavoro dal tempo libero. […] l’intera moltitudine è, volente o nolente, produttiva”34. Alle fasi della sussunzione formale del lavoro al capitale, sviluppatasi tra il XVI e il XVIII secolo, e della sussunzione reale, avviata dalla rivoluzione industriale35, seguirebbe dunque l’età della sussunzione biopolitica36. Questa è onnipervasiva e coinvolgerebbe anche le critiche al sistema che si esprimono nelle forme culturali e politiche: il processo di mercificazione delle tendenze critiche e trasgressive, per Federico Chicchi, è anzi fondamentale per un sistema economico che, in tal modo, si garantisce l’edulcorazione delle forme di contestazione37 e un continuo rinnovamento dei linguaggi culturali, utili per la valorizzazione della merce. Un’analisi delle culture antagoniste38 emerse nei paesi capitalistici negli ultimi decenni, ovvero nel periodo di affermazione del nuovo paradigma produttivo dominante, potrebbe aiutare a chiarire il rapporto tra arte e capitale, perché con essa si osserverebbero l’attività programmaticamente rivoluzionaria, la sua relazione con il regime di accumulazione contemporaneo e gli eventuali effetti reali che essa ha determinato. A tal fine si condurrà uno studio sulla produzione culturale del movimento del ’77 italiano.
22-gen-2010
Biopolitik,Bioökonomie,Biopoetik im Zeichen der Krisis
Düsseldorf
20-23 gennaio 2010
2011
10
MARISCALCO, D. (2011). Arte, sapere e sussunzione biopolitica nell’età del capitalismo cognitivo. In Biopolitik,Bioökonomie,Biopoetik im Zeichen der Krisis.
Proceedings (atti dei congressi)
MARISCALCO, D
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