Lo Stato italiano non è indifferente al fenomeno religioso e non è separatista: mantiene una legge comune per le Confessioni religiose d’epoca precostituzionale (1929) sostanzialmente inadeguata: prevede un sistema di rapporti bilaterali di vertice con la Chiesa e con le Confessioni religiose (art. 7 e 8 Cost.). Per tanto occorre una lettura corretta del principio “supremo della laicità statale”, enunciato dalla Corte costituzionale nel 1987 con un’espressione non coincidente con l’uso comune e per tanto forviante. Esso, nella sostanza ribadisce il principio del pluralismo. Lo studio mette in rilievo il dato normativo secondo cui il pluralismo considerato dalla Costituzione repubblicana si inquadra in un contesto di valori di fondo condivisi, che non coincide con il recente fenomeno del multiculturalismo privo di radicamento nel contesto sociale della Nazione ma che va comunque tenuto presente e governato. Sul piano tecnico, gli accordi di vertice considerano l’individualità di ciascuna confessione e logicamente sarebbero stati preceduti da un aggiornamento della legge generale, quale punto di riferimento per la diversificazione. Seguendo il procedimento inverso, si è pervenuti al risultato della mancanza di una legge comune aggiornata e riferibile anche alle Confessioni che non intendono o non possono sottoscrivere accordi di vertice; mentre per le altre, si assiste a un’inutile gara nell’ottenere tramite accordi specifici il massimo delle medesime cose. Lo studio mette in luce una lettura distorta di un altro principio costituzionale, basilare nella trattazione della materia. La logica dell’uguale privilegio, ponendo l’accento sul concetto di uguaglianza e a discapito di quello della specificità, ha spesso determinato una forzatura del principio dell’uguaglianza formale (art. 3 Cost.), utilizzato come strumento livellatore della pluralità confessionale piuttosto che di misura di ragionevoli deroghe, introducendo surrettiziamente un principio di separazione tra Stato e Chiesa che non risponde al dettato costituzionale. Lo studio rileva altresì che vi sono anche altre (e parallele) vie per raccogliere le istanze delle Confessioni. Il fattore religioso, per altro, trova ingresso nella legge comune attraverso i meccanismi di produzione giuridica propri dello Stato democratico. Si tratta d’un profilo delicato, che tocca l’essenza stessa dello Stato o, se si preferisce, la sua “laicità” in senso proprio. E’ un aspetto di rilevo sociologico, che si ricollega al fenomeno dell’immigrazione, soprattutto islamica, contraria al dualismo occidentale e a schemi elaborati per realtà diverse. Allo stato attuale, in assenza di una legge comune, la via delle intese di vertice non sembra applicabile ut sic alla realtà islamica. Nel processo formativo della legge, sembra doversi concludere, che lo Stato deve assumere il ruolo di sistema di riferimento organizzante, in grado di garantire la laicità dell’Ordinamento e di assicurare il pluralismo di sintesi; nel qual ambito le istanze religiose possono trovare accoglimento nella misura in cui il pluralismo confessionale assume il ruolo di pluralismo culturale.

Bordonali, S. (2010). L'incidenza del fatto religioso nei percorsi formativi della legge nell'Ordinamento italiano. ANUARIO DE DERECHO ECLESIÁSTICO DEL ESTADO, XXVI, 703-756.

L'incidenza del fatto religioso nei percorsi formativi della legge nell'Ordinamento italiano

BORDONALI, Salvatore
2010-01-01

Abstract

Lo Stato italiano non è indifferente al fenomeno religioso e non è separatista: mantiene una legge comune per le Confessioni religiose d’epoca precostituzionale (1929) sostanzialmente inadeguata: prevede un sistema di rapporti bilaterali di vertice con la Chiesa e con le Confessioni religiose (art. 7 e 8 Cost.). Per tanto occorre una lettura corretta del principio “supremo della laicità statale”, enunciato dalla Corte costituzionale nel 1987 con un’espressione non coincidente con l’uso comune e per tanto forviante. Esso, nella sostanza ribadisce il principio del pluralismo. Lo studio mette in rilievo il dato normativo secondo cui il pluralismo considerato dalla Costituzione repubblicana si inquadra in un contesto di valori di fondo condivisi, che non coincide con il recente fenomeno del multiculturalismo privo di radicamento nel contesto sociale della Nazione ma che va comunque tenuto presente e governato. Sul piano tecnico, gli accordi di vertice considerano l’individualità di ciascuna confessione e logicamente sarebbero stati preceduti da un aggiornamento della legge generale, quale punto di riferimento per la diversificazione. Seguendo il procedimento inverso, si è pervenuti al risultato della mancanza di una legge comune aggiornata e riferibile anche alle Confessioni che non intendono o non possono sottoscrivere accordi di vertice; mentre per le altre, si assiste a un’inutile gara nell’ottenere tramite accordi specifici il massimo delle medesime cose. Lo studio mette in luce una lettura distorta di un altro principio costituzionale, basilare nella trattazione della materia. La logica dell’uguale privilegio, ponendo l’accento sul concetto di uguaglianza e a discapito di quello della specificità, ha spesso determinato una forzatura del principio dell’uguaglianza formale (art. 3 Cost.), utilizzato come strumento livellatore della pluralità confessionale piuttosto che di misura di ragionevoli deroghe, introducendo surrettiziamente un principio di separazione tra Stato e Chiesa che non risponde al dettato costituzionale. Lo studio rileva altresì che vi sono anche altre (e parallele) vie per raccogliere le istanze delle Confessioni. Il fattore religioso, per altro, trova ingresso nella legge comune attraverso i meccanismi di produzione giuridica propri dello Stato democratico. Si tratta d’un profilo delicato, che tocca l’essenza stessa dello Stato o, se si preferisce, la sua “laicità” in senso proprio. E’ un aspetto di rilevo sociologico, che si ricollega al fenomeno dell’immigrazione, soprattutto islamica, contraria al dualismo occidentale e a schemi elaborati per realtà diverse. Allo stato attuale, in assenza di una legge comune, la via delle intese di vertice non sembra applicabile ut sic alla realtà islamica. Nel processo formativo della legge, sembra doversi concludere, che lo Stato deve assumere il ruolo di sistema di riferimento organizzante, in grado di garantire la laicità dell’Ordinamento e di assicurare il pluralismo di sintesi; nel qual ambito le istanze religiose possono trovare accoglimento nella misura in cui il pluralismo confessionale assume il ruolo di pluralismo culturale.
2010
Bordonali, S. (2010). L'incidenza del fatto religioso nei percorsi formativi della legge nell'Ordinamento italiano. ANUARIO DE DERECHO ECLESIÁSTICO DEL ESTADO, XXVI, 703-756.
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