L’analisi della complessa relazione tra Polis siciliana e mafia e tra comunità e crimine organizzato ha portato ad approfondire la questione dell’inquietante ampliamento di strati sociali che esprimono un sostanziale sentimento di collusiva aderenza ai valori portanti di Cosa Nostra (sentire mafioso) e, più nello specifico, la questione delle diverse forme di consenso che i membri di Cosa Nostra riescono a veicolare verso quella fascia di popolazione (politici, professionisti e classe dirigente in genere) che istituzionalmente dovrebbe garantire il rispetto della legalità. Dal nostro punto di vista, la mafia non è riconducibile ad altre forme di criminalità organizzata, ma è un modo di sentire, un pensiero che attraversa i siciliani indipendentemente dal loro appartenere all’Organizzazione. Secondo questa ipotesi, la mafia è presente in Sicilia come modalità di pensiero saturata dalla cultura antropologica ed in grado di saturare i temi culturali e, al contempo, come modalità saturante nuove modalità di pensiero, aspetti che Di Maria, nel 1989, definisce con l’espressione sentire mafioso, costrutto che trova una sua prima espressione all’interno di una vera e propria cultura familistica che, agendo attraverso l’accudimento materno ed il potere e la soggezione paterna, determina insicurezza, bisogno di protezione, obbedienza ed impossibilità di soggettivazione. Seguendo un’impostazione simile, Fiore (1997) ha sostenuto l’esistenza di un particolare modo, tipicamente siciliano, di guardare alla vita, di comportarsi, di creare rapporti, di mantenerli, o scioglierli, che ha sintetizzato nell’espressione pensare mafioso, un modo di essere e di sentire diffuso in Sicilia, ereditato e trasmesso transpersonalmente in famiglia. Esso nasconde una implicita costrizione alla violenza, alla sopraffazione dell’individuo e della sua soggettività, ed anche l’insicurezza, la paura di sbagliare, di compromettersi e di essere estromessi dal rassicurante e protettivo contenitore familiare. La mafia, secondo questa prospettiva, è una realizzazione esasperata del pensare mafioso. La ricerca ha coinvolto diversi esponenti della politica siciliana e ha inteso esplorare sia le modalità di rappresentazione della mafia nonché, strettamente connesso a questo, in che modo quote di pensare mafioso dei politici abbiano ricadute sul “fare” politica in Sicilia.

Falgares, G., Lorito, L., Cottone, M. (2006). Sentire e pensare mafioso nelle parole di elettori e politici siciliani.

Sentire e pensare mafioso nelle parole di elettori e politici siciliani

LORITO, Lucrezia;
2006-01-01

Abstract

L’analisi della complessa relazione tra Polis siciliana e mafia e tra comunità e crimine organizzato ha portato ad approfondire la questione dell’inquietante ampliamento di strati sociali che esprimono un sostanziale sentimento di collusiva aderenza ai valori portanti di Cosa Nostra (sentire mafioso) e, più nello specifico, la questione delle diverse forme di consenso che i membri di Cosa Nostra riescono a veicolare verso quella fascia di popolazione (politici, professionisti e classe dirigente in genere) che istituzionalmente dovrebbe garantire il rispetto della legalità. Dal nostro punto di vista, la mafia non è riconducibile ad altre forme di criminalità organizzata, ma è un modo di sentire, un pensiero che attraversa i siciliani indipendentemente dal loro appartenere all’Organizzazione. Secondo questa ipotesi, la mafia è presente in Sicilia come modalità di pensiero saturata dalla cultura antropologica ed in grado di saturare i temi culturali e, al contempo, come modalità saturante nuove modalità di pensiero, aspetti che Di Maria, nel 1989, definisce con l’espressione sentire mafioso, costrutto che trova una sua prima espressione all’interno di una vera e propria cultura familistica che, agendo attraverso l’accudimento materno ed il potere e la soggezione paterna, determina insicurezza, bisogno di protezione, obbedienza ed impossibilità di soggettivazione. Seguendo un’impostazione simile, Fiore (1997) ha sostenuto l’esistenza di un particolare modo, tipicamente siciliano, di guardare alla vita, di comportarsi, di creare rapporti, di mantenerli, o scioglierli, che ha sintetizzato nell’espressione pensare mafioso, un modo di essere e di sentire diffuso in Sicilia, ereditato e trasmesso transpersonalmente in famiglia. Esso nasconde una implicita costrizione alla violenza, alla sopraffazione dell’individuo e della sua soggettività, ed anche l’insicurezza, la paura di sbagliare, di compromettersi e di essere estromessi dal rassicurante e protettivo contenitore familiare. La mafia, secondo questa prospettiva, è una realizzazione esasperata del pensare mafioso. La ricerca ha coinvolto diversi esponenti della politica siciliana e ha inteso esplorare sia le modalità di rappresentazione della mafia nonché, strettamente connesso a questo, in che modo quote di pensare mafioso dei politici abbiano ricadute sul “fare” politica in Sicilia.
2006
Falgares, G., Lorito, L., Cottone, M. (2006). Sentire e pensare mafioso nelle parole di elettori e politici siciliani.
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