L’interesse per l’aspetto evoluzionistico dell’ibridazione interspecifica è cresciuto negli ultimi anni, a giudicare dalla mole di articoli e review pubblicati sull’argomento. Fili conduttori di questi lavori sono la considerazione dell’ibridazione avvenuta e la conseguente ricerca delle evidenze che la dimostrano, siano esse morfologiche o genetiche: quasi mai l’evento di ibridazione viene messo in discussione, neppure quando le specie coinvolte sono caratterizzate da sbilanciamenti aneuploidi molto forti. Generalmente, l’ibridazione tra specie riconosciute come distinte è impedita dall’innescarsi di meccanismi d’isolamento pre e postzigotici. Questa incompatibilità ci porta a mettere in discussione la facilità con cui lo status di ibrido sia stato stabilito in questi lavori. Scopo della presente review è quello di investigare il trend del fenomeno nel tempo e i metodi utilizzati per analizzarlo. Prendendo come punto di partenza proprio l’approccio teorico di Dobzhansky, abbiamo analizzato criticamente la letteratura disponibile al riguardo, privilegiando le indagini effettuate sui mammiferi e, in modo particolare, sui primati, data la constatazione che anche minime evidenze di aneuploidia sono non vitali nell’uomo. Il database che ne abbiamo ricavato ci ha permesso di verificare come l’interesse nei confronti dell’ibridazione sia cresciuto nel tempo e quanto il numero di specie soggette ad ibridazione sia aumentato. Tuttavia, nonostante l’evoluzione delle tecniche, alcuni lavori hanno privilegiato l’approccio morfologico: discriminante, ma non sufficientemente risolutivo. Gli studi che, invece, hanno investigato l’aspetto genetico si sono limitati a ricercare i riarrangiamenti cromosomici che caratterizzano l’ibrido (supposto). La definizione di buona specie è spesso aleatoria, in quanto frutto di concetti che rappresentano categorie mentali. Non nascondendo che l’introgressione possa essere considerata un valido meccanismo di speciazione, non crediamo, tuttavia, che esso possa manifestarsi così facilmente in specie caratterizzate da profonde differenze genomiche. Riteniamo che ulteriori indagini – in particolare, mediante approcci come l’ibridazione in situ miranti al confronto di ampie aree cromosomiche di omologia - siano necessarie per approfondire le nostre conoscenze su un fenomeno ancora in gran parte da comprendere.

Lo Bianco S, Sineo, L. (2013). L’ibridazione interspecifica: evidenze e limiti di un fenomeno ancora da comprendere. In Atti Congresso UZI.

L’ibridazione interspecifica: evidenze e limiti di un fenomeno ancora da comprendere

LO BIANCO, Stefania;SINEO, Luca
2013-01-01

Abstract

L’interesse per l’aspetto evoluzionistico dell’ibridazione interspecifica è cresciuto negli ultimi anni, a giudicare dalla mole di articoli e review pubblicati sull’argomento. Fili conduttori di questi lavori sono la considerazione dell’ibridazione avvenuta e la conseguente ricerca delle evidenze che la dimostrano, siano esse morfologiche o genetiche: quasi mai l’evento di ibridazione viene messo in discussione, neppure quando le specie coinvolte sono caratterizzate da sbilanciamenti aneuploidi molto forti. Generalmente, l’ibridazione tra specie riconosciute come distinte è impedita dall’innescarsi di meccanismi d’isolamento pre e postzigotici. Questa incompatibilità ci porta a mettere in discussione la facilità con cui lo status di ibrido sia stato stabilito in questi lavori. Scopo della presente review è quello di investigare il trend del fenomeno nel tempo e i metodi utilizzati per analizzarlo. Prendendo come punto di partenza proprio l’approccio teorico di Dobzhansky, abbiamo analizzato criticamente la letteratura disponibile al riguardo, privilegiando le indagini effettuate sui mammiferi e, in modo particolare, sui primati, data la constatazione che anche minime evidenze di aneuploidia sono non vitali nell’uomo. Il database che ne abbiamo ricavato ci ha permesso di verificare come l’interesse nei confronti dell’ibridazione sia cresciuto nel tempo e quanto il numero di specie soggette ad ibridazione sia aumentato. Tuttavia, nonostante l’evoluzione delle tecniche, alcuni lavori hanno privilegiato l’approccio morfologico: discriminante, ma non sufficientemente risolutivo. Gli studi che, invece, hanno investigato l’aspetto genetico si sono limitati a ricercare i riarrangiamenti cromosomici che caratterizzano l’ibrido (supposto). La definizione di buona specie è spesso aleatoria, in quanto frutto di concetti che rappresentano categorie mentali. Non nascondendo che l’introgressione possa essere considerata un valido meccanismo di speciazione, non crediamo, tuttavia, che esso possa manifestarsi così facilmente in specie caratterizzate da profonde differenze genomiche. Riteniamo che ulteriori indagini – in particolare, mediante approcci come l’ibridazione in situ miranti al confronto di ampie aree cromosomiche di omologia - siano necessarie per approfondire le nostre conoscenze su un fenomeno ancora in gran parte da comprendere.
Settore BIO/08 - Antropologia
30-set-2013
74° Congresso dell’Unione Zoologica Italiana
Modena
30 settembre - 3 ottobre 2014
2013
1
Lo Bianco S, Sineo, L. (2013). L’ibridazione interspecifica: evidenze e limiti di un fenomeno ancora da comprendere. In Atti Congresso UZI.
Proceedings (atti dei congressi)
Lo Bianco S; Sineo, L
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