Il volume, apparso sulla collana fiorentina del Centro Studi per la Storia del Pensiero Giuridico Moderno, ricostruisce, lungo un itinerario storico che dal Medioevo corre fino all’età del mercato globale, la natura, la funzione e le finalità dei segni, da quelli corporativi a quelli d’impresa, dalle insegne nobiliari ai marchi di dominio. La considerazione di un arco temporale così ampio ha consentito di evidenziare quanto diversi siano stati gli usi del contrassegnare, mettendo a nudo relazioni sconosciute fra segni della persona e segni sulla cosa e sfatando il mito di un’“ontologica” esistenza del marchio sul prodotto. Attraverso il marchio, «di fabbrica» prima «d’impresa» dopo, infatti, l’ordinamento offre al titolare l’opportunità di contrassegnare i propri prodotti, indipendentemente dalle loro qualità e dalla loro provenienza, e di diffondere, così facendo, la loro notorietà, nel tentativo di implementare la relativa domanda, e di incrementare, insieme con essa, il profitto. In questo senso il marchio va ricondotto alle ragioni del libero mercato, alle esigenze di quell’arena, in senso figurato, nella quale gli imprenditori sono chiamati a misurarsi, l’uno contro l’altro, ormai liberi da controlli di ceto e da legami corporativi, ma sempre più intenti a promuovere il loro prodotto per vederlo prevalere su quello degli altri. Con la conseguenza, evidentemente, che il marchio, nella familiare accezione in cui si è abituati ad intenderlo, ha ragione di esistere solo in un modello economico di tipo liberistico-concorrenziale, in tempo di produzione di massa e di società individualistica, ed è solo da quando quel modello è divenuto anche un tipo storico ben definito e consolidato che le testimonianze del contrassegnare possono aver assunto il significato di «segno distintivo del prodotto». Di tale passaggio, appunto, si scorge l’inizio con le trasformazioni determinate dalla Rivoluzione industriale e dalla Rivoluzione francese, dalle idee del liberismo economico e dalla concezione insiemistica di uno spazio in cui si muovono individui – non ceti né ordini né corporazioni – ma se ne coglie il pieno compimento soltanto con il capitalismo del XX secolo e con i corollari del libero mercato, del passaggio dall’individualismo del proprietario a quello dell’imprenditore, della centralità dell’impresa nel sistema legislativo e nelle riflessioni della scienza giuridica. Fra il tardo Medioevo e la fine dell’età moderna, invece, in presenza di condizioni fortemente caratterizzanti, i signa individuali realizzarono interessi altri, l’uso di contrassegnare – cose, merci, animali, uomini – rispose ad istanze di tutt’altra natura rispetto a quella concorrenziale, prevalentemente originate da considerazioni di natura corporativa, dominicale, familiare, etica, pubblicistica. I signa individuali d’antico regime, più precisamente, avevano questo come comun denominatore, di essere segni personali, di servire sempre a ricondurre un bene a una persona, o comunque a un soggetto (anche una società quindi), che poi avrebbe tratto da questa funzione l’utilità che più le serviva, o, più probabilmente, tutte le utilità possibili: presunzione di dominio, ostensione della stirpe, simbolo di magnificenza, certificazione di autenticità, rivendicazione delle proprie qualità manuali, morali, intellettuali. Ma tali signa, soprattutto, sembrano concepiti, sotto il profilo giuridico, come parte integrante di un impianto omogeneo, di un quadro dogmatico compatto, nel quale il segno sulla cosa galleggia “impunemente” in un unico mare con il diritto al nome, il diritto d’autore, i diritti della personalità, i diritti sui beni immateriali. L’immagine più nitida di questo tessuto interrelazionale, nel quale figure e istituti per noi diversi appaiono l’uno all’altro strettamente connessi, è offerta dal Trattato De insigniis et armis, scritto verosimilmente fra il 1355 e il 1357, edito per la prima volta nel 1472, nel quale Bartolo da Sassoferrato (1313-1357) affrontava il tema dei segni, ma, quel che più conta, associava in maniera (apparentemente) singolare la materia dell’artigianato con quella dell’araldica, dando l’impressione di occuparsi tanto dei marchi di fabbrica che delle insegne nobiliari, a testimonianza di un legame anche sostanziale fra due (o più) sfere, quella patrimoniale e quella personale, quella delle persone e quella delle cose, che la dogmatica giuridica contemporanea è solita mantenere distinte. In tale prospettiva, all’insegna della discontinuità, entrano a buon diritto, nell’indagine sui segni d’antico regime, manifestazioni giuridiche che dopo le Rivoluzioni verranno rigorosamente classificate nelle categorie dogmatiche del diritto codificato, sparse fra i settori ben delimitati del diritto delle persone e del diritto dei beni, del diritto familiare e del diritto industriale. Testimonianze che nulla avrebbero a che fare con il marchio d’impresa, rappresentano invece la chiave di lettura del mondo pre-rivoluzionario.

MAZZARELLA F (2005). Nel segno dei tempi. Marchi persone e cose dalla corporazione medievale all'impresa globale. MILANO : Giuffrè.

Nel segno dei tempi. Marchi persone e cose dalla corporazione medievale all'impresa globale

MAZZARELLA, Ferdinando
2005-01-01

Abstract

Il volume, apparso sulla collana fiorentina del Centro Studi per la Storia del Pensiero Giuridico Moderno, ricostruisce, lungo un itinerario storico che dal Medioevo corre fino all’età del mercato globale, la natura, la funzione e le finalità dei segni, da quelli corporativi a quelli d’impresa, dalle insegne nobiliari ai marchi di dominio. La considerazione di un arco temporale così ampio ha consentito di evidenziare quanto diversi siano stati gli usi del contrassegnare, mettendo a nudo relazioni sconosciute fra segni della persona e segni sulla cosa e sfatando il mito di un’“ontologica” esistenza del marchio sul prodotto. Attraverso il marchio, «di fabbrica» prima «d’impresa» dopo, infatti, l’ordinamento offre al titolare l’opportunità di contrassegnare i propri prodotti, indipendentemente dalle loro qualità e dalla loro provenienza, e di diffondere, così facendo, la loro notorietà, nel tentativo di implementare la relativa domanda, e di incrementare, insieme con essa, il profitto. In questo senso il marchio va ricondotto alle ragioni del libero mercato, alle esigenze di quell’arena, in senso figurato, nella quale gli imprenditori sono chiamati a misurarsi, l’uno contro l’altro, ormai liberi da controlli di ceto e da legami corporativi, ma sempre più intenti a promuovere il loro prodotto per vederlo prevalere su quello degli altri. Con la conseguenza, evidentemente, che il marchio, nella familiare accezione in cui si è abituati ad intenderlo, ha ragione di esistere solo in un modello economico di tipo liberistico-concorrenziale, in tempo di produzione di massa e di società individualistica, ed è solo da quando quel modello è divenuto anche un tipo storico ben definito e consolidato che le testimonianze del contrassegnare possono aver assunto il significato di «segno distintivo del prodotto». Di tale passaggio, appunto, si scorge l’inizio con le trasformazioni determinate dalla Rivoluzione industriale e dalla Rivoluzione francese, dalle idee del liberismo economico e dalla concezione insiemistica di uno spazio in cui si muovono individui – non ceti né ordini né corporazioni – ma se ne coglie il pieno compimento soltanto con il capitalismo del XX secolo e con i corollari del libero mercato, del passaggio dall’individualismo del proprietario a quello dell’imprenditore, della centralità dell’impresa nel sistema legislativo e nelle riflessioni della scienza giuridica. Fra il tardo Medioevo e la fine dell’età moderna, invece, in presenza di condizioni fortemente caratterizzanti, i signa individuali realizzarono interessi altri, l’uso di contrassegnare – cose, merci, animali, uomini – rispose ad istanze di tutt’altra natura rispetto a quella concorrenziale, prevalentemente originate da considerazioni di natura corporativa, dominicale, familiare, etica, pubblicistica. I signa individuali d’antico regime, più precisamente, avevano questo come comun denominatore, di essere segni personali, di servire sempre a ricondurre un bene a una persona, o comunque a un soggetto (anche una società quindi), che poi avrebbe tratto da questa funzione l’utilità che più le serviva, o, più probabilmente, tutte le utilità possibili: presunzione di dominio, ostensione della stirpe, simbolo di magnificenza, certificazione di autenticità, rivendicazione delle proprie qualità manuali, morali, intellettuali. Ma tali signa, soprattutto, sembrano concepiti, sotto il profilo giuridico, come parte integrante di un impianto omogeneo, di un quadro dogmatico compatto, nel quale il segno sulla cosa galleggia “impunemente” in un unico mare con il diritto al nome, il diritto d’autore, i diritti della personalità, i diritti sui beni immateriali. L’immagine più nitida di questo tessuto interrelazionale, nel quale figure e istituti per noi diversi appaiono l’uno all’altro strettamente connessi, è offerta dal Trattato De insigniis et armis, scritto verosimilmente fra il 1355 e il 1357, edito per la prima volta nel 1472, nel quale Bartolo da Sassoferrato (1313-1357) affrontava il tema dei segni, ma, quel che più conta, associava in maniera (apparentemente) singolare la materia dell’artigianato con quella dell’araldica, dando l’impressione di occuparsi tanto dei marchi di fabbrica che delle insegne nobiliari, a testimonianza di un legame anche sostanziale fra due (o più) sfere, quella patrimoniale e quella personale, quella delle persone e quella delle cose, che la dogmatica giuridica contemporanea è solita mantenere distinte. In tale prospettiva, all’insegna della discontinuità, entrano a buon diritto, nell’indagine sui segni d’antico regime, manifestazioni giuridiche che dopo le Rivoluzioni verranno rigorosamente classificate nelle categorie dogmatiche del diritto codificato, sparse fra i settori ben delimitati del diritto delle persone e del diritto dei beni, del diritto familiare e del diritto industriale. Testimonianze che nulla avrebbero a che fare con il marchio d’impresa, rappresentano invece la chiave di lettura del mondo pre-rivoluzionario.
2005
88-14-12147-8
MAZZARELLA F (2005). Nel segno dei tempi. Marchi persone e cose dalla corporazione medievale all'impresa globale. MILANO : Giuffrè.
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