Cosa chiede la biblioteca all’architettura? La risposta non è immediata come quella delle aspirazioni del mattone di Louis Kahn, che rimandano ad un codice costruttivo ed espressivo consolidatosi nella storia e nell’uso, ormai distante dalle pratiche tecnologiche dell’architettura moderna. Quando parliamo di biblioteche, affrontiamo indirettamente la questione del rapporto tra le abitudini comportamentali dell’uomo all’interno dello spazio pubblico: esaminiamo in sostanza il rapporto tra l’uomo e la città. L’evoluzione dei luoghi collettivi è il filo conduttore attraverso il quale è possibile descrivere la storia degli insediamenti urbani. Da luoghi principalmente di massa, essi tendono oggi a essere sempre più legati a delle fasce d’età, a degli interessi ben precisi, al livello di reddito e soprattutto al commercio, tanto da portare Rem Koolhaas a dichiarare che «lo shopping è con tutta probabilità l’ultima forma restante di attività pubblica». Segni, questi, di una frammentazione urbana che si sviluppa parallelamente e in maniera non disgiunta, dal dilagare dell’individualismo e della settorializzazione della nostra vita quotidiana: vi è l’ambito del lavoro, dello studio, della vita familiare, ognuno con proprie regole comportamentali, ritmi, abitudini ed esigenze spaziali. Il vivere contemporaneo ci impone di interrogarci su quanti luoghi della città possano oggi realmente essere considerati intergenerazionali e multiuso e quanti, invece, non favoriscano piuttosto il dilagare delle sensazioni di disagio nei confronti della vita nelle nostre metropoli. Disagio che investe il nostro rapporto con le nuove forme dell’abitare la città contemporanea divenendo, di fatto, un palese spaesamento urbano e sociale; l’uomo moderno perde ogni capacità di orientamento e non riconosce più il valore identitario dei luoghi collettivi urbani. Costretto all’isolamento e ai rapporti cibernetici, egli assiste inerme (almeno in Italia) alla sparizione progressiva dei luoghi pubblici capaci di ridurre i conflitti sociali. Esistono, tuttavia, degli spazi pubblici i cui gradi di libertà consentono ancora di poter assolvere questa funzione unificante. È il caso delle biblioteche che, nella loro concezione contemporanea, consentono di ridurre i conflitti tra le diverse categorie di pubblico grazie ad un’offerta molteplice capace di raggruppare età e interessi diversi.

Failla, L. (2015). Cosa chiede la biblioteca all’architettura? Riflessioni sull’architettura delle biblioteche.. In M. Bergamaschi (a cura di), I nuovi volti della biblioteca pubblica. Tra cultura e accoglienza (pp. 127-136). Milano : Franco Angeli.

Cosa chiede la biblioteca all’architettura? Riflessioni sull’architettura delle biblioteche.

FAILLA, Luigi
2015-01-01

Abstract

Cosa chiede la biblioteca all’architettura? La risposta non è immediata come quella delle aspirazioni del mattone di Louis Kahn, che rimandano ad un codice costruttivo ed espressivo consolidatosi nella storia e nell’uso, ormai distante dalle pratiche tecnologiche dell’architettura moderna. Quando parliamo di biblioteche, affrontiamo indirettamente la questione del rapporto tra le abitudini comportamentali dell’uomo all’interno dello spazio pubblico: esaminiamo in sostanza il rapporto tra l’uomo e la città. L’evoluzione dei luoghi collettivi è il filo conduttore attraverso il quale è possibile descrivere la storia degli insediamenti urbani. Da luoghi principalmente di massa, essi tendono oggi a essere sempre più legati a delle fasce d’età, a degli interessi ben precisi, al livello di reddito e soprattutto al commercio, tanto da portare Rem Koolhaas a dichiarare che «lo shopping è con tutta probabilità l’ultima forma restante di attività pubblica». Segni, questi, di una frammentazione urbana che si sviluppa parallelamente e in maniera non disgiunta, dal dilagare dell’individualismo e della settorializzazione della nostra vita quotidiana: vi è l’ambito del lavoro, dello studio, della vita familiare, ognuno con proprie regole comportamentali, ritmi, abitudini ed esigenze spaziali. Il vivere contemporaneo ci impone di interrogarci su quanti luoghi della città possano oggi realmente essere considerati intergenerazionali e multiuso e quanti, invece, non favoriscano piuttosto il dilagare delle sensazioni di disagio nei confronti della vita nelle nostre metropoli. Disagio che investe il nostro rapporto con le nuove forme dell’abitare la città contemporanea divenendo, di fatto, un palese spaesamento urbano e sociale; l’uomo moderno perde ogni capacità di orientamento e non riconosce più il valore identitario dei luoghi collettivi urbani. Costretto all’isolamento e ai rapporti cibernetici, egli assiste inerme (almeno in Italia) alla sparizione progressiva dei luoghi pubblici capaci di ridurre i conflitti sociali. Esistono, tuttavia, degli spazi pubblici i cui gradi di libertà consentono ancora di poter assolvere questa funzione unificante. È il caso delle biblioteche che, nella loro concezione contemporanea, consentono di ridurre i conflitti tra le diverse categorie di pubblico grazie ad un’offerta molteplice capace di raggruppare età e interessi diversi.
2015
Settore ICAR/14 - Composizione Architettonica E Urbana
Failla, L. (2015). Cosa chiede la biblioteca all’architettura? Riflessioni sull’architettura delle biblioteche.. In M. Bergamaschi (a cura di), I nuovi volti della biblioteca pubblica. Tra cultura e accoglienza (pp. 127-136). Milano : Franco Angeli.
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